Ecco a voi la seconda puntata di StraStorie 2020. Annie la giramondo scritta da Gino Cervi: buona lettura e via agli spunti su come continuare il racconto!
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Guendalina Ravazzoni, "Le Havre"
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Chissà se è tutto vero
di Gino Cervi
Parigi, 19 dicembre 1894
Buongiorno, signore e signori, ma
soprattutto dico signore. Eh, signore mie, un giorno, forse, chissà?... Le
vostre pronipoti leggeranno di una balenga avventuriera che fece il giro del mondo
in bicicletta per scommessa e diranno: “Però, che tosta quella Annie
Londonderry! Che fegato, che coraggio! A quei tempi, poi…”.
Non ci credete, eh? Dite la
verità, voi per prime pensate che sono una pazza o, quanto meno, una
sconsiderata incosciente, se non una poco di buono. E vi chiedete, dandovi di gomito l’un con
l’altra, chissà come è arrivata fino a qui, in sella a quel trabiccolo. Chissà
se è tutto vero, chissà che dietro non si nasconda qualcosa, una spudorata
macchinazione pubblicitaria per far parlare di sé e di tutte quei prodotti che
reclamizza, con cartelli, nastrini, etichette… Acque minerali, profumi,
pneumatici…
No? Non lo pensate? Suvvia, siate
sincere… Sono sicura che tra di voi c’è chi ritiene che io non sia una donna,
ma un uomo travestito o addirittura, pensa un po’ che fantasia, un “eunuco”.
Perché, ammettetelo, anche voi donne, qui in Europa, come di là dall’oceano, ragionate
allo stesso modo di quei due “gentiluomini” di Boston che, annoiati di
scommettere sulle vittorie e le rare sconfitte di John Lawrence Sullivan, il
pugile più forte di tutti, il campione del mondo che combatteva a mani nude, si
sono inventati la scommessa che una donna non avrebbe mai potuto realizzare il
giro del mondo in bicicletta. Erano sicuri di vincere. Ma non avevano fatto i
conti con Annie, Annie Cohen Kopchovsky, o, se preferite, la qui presente Annie
Londonderry!
Come? Dite che mancano soli dieci
mesi alla scadenza della scommessa e io sono ancora all’inizio del viaggio? E
per di più dalla parte sbagliata? Donne di poca fede, siete peggio degli uomini
che parlano e pensano male dell’altro sesso. Vero, sono partita da Boston per
andare verso ovest. E ammetto, non è stato per niente facile. Anzi, “per niente
facile” è solo un eufemismo. Ho fatto una fatica bestia ad arrivare a Chicago
tutta intera. Nonostante le preziose e puntuali indicazioni delle guide L.A.W.,
che mi segnalavano i percorsi migliori, le condizioni delle strade, dove
sostare per mangiare e dormire, è stato un inferno: continue forature, chiodi
grossi come punteruoli, disgrazie meccaniche, temporali che sembrava di
navigare mica pedalare, per non dire di quella maledetta sottanona che
continuamente mi si impigliava nelle pedivelle e nella catena.
Alla fine, nonostante tutto, a
Chicago ci sono arrivata: il 24 settembre 1894. Ci ho messo tre mesi, è vero, e
la strada, e i guai, sembravano non finire mai. Ma dopo tutta quella faticaccia
avevo compreso una cosa: che ce la potevo fare. Anzi, che ce l’avrei potuta
fare se cambiavo i miei piani: nessuno è così stupido da rimanere fedele a un
progetto quando capisce che non funziona.
Allora, prima di tutto, ho
buttato alle ortiche le sottane, il corsetto, il blazer, e anche il cappellino.
Non me ne importa niente se tutti mi indicheranno a dito come quella che ha
indossato i pantaloni. Non ho niente da nascondere, io. Ho due gambe come tutti
gli esseri umani, e anche un sedere, sì… un sedere, avete capito bene. Non
m’importa un bel niente che tutti lo vedano avvolto in un paio di calzoni di
caldo e comodo tweed. Al diavolo quello che chiamate pudore! Mica pedalo in
mutande!
In secondo luogo, con tutta la
gratitudine per Mister Pope della Pope Manufacturers, la Columbia Safety
Bicycle è troppo pesante. La Sterling Cycle Company mi ha fornito una macchina
più leggere, più svelta, pensata – ebbene sì… – per gli uomini, ma proprio per
questo mi va ancora meglio. La cavalcherò per dimostrare che quello che va bene
per un uomo può andare bene anche per una donna. La Sterling pesa solo 9 chili,
ben dieci in meno della Columbia. E non è il solo peso guadagnato: da Boston a
Chicago, ho perso anch’io un po’ di chili… E non chiedetemi dove. In compenso
ho messo un bel po’ di muscoli nei punti giusti. Proprio per questo, nel
momento stesso in cui ho realizzato che non ce l’avrei mai potuta fare a valicare
in bicicletta le Montagne Rocciose d’inverno, non mi sono certo persa d’animo.
Ho deciso di tornare indietro.
Avrei fatto il giro del mondo in senso inverso. Due mesi dopo ero a New York e
m’imbarcavo sul piroscafo francese La Touraine, che faceva rotta su Le Havre.
Non è stata una traversata semplice: viaggiare in terza classe – l’unica che mi
potevo permettere – mi ha fatto rimpiangere le buche, la polvere, il fango
delle strade americane. Per non dire del puzzo della stiva, e delle mani dei
marinai che dovevo tenere a bada notte e giorno. Ma dieci giorni dopo,
finalmente, ecco ad accogliermi il Vecchio Continente. Accogliermi si fa per
dire. A Le Havre mi ha fermato la polizia e mi ha sequestrato tutto: la
bicicletta, quel poco di bagaglio e tutti i soldi. Non ne voleva sapere di
alcuna giustificazione. Non credeva a nulla di quel che dicevo, che sono in
viaggio per una scommessa, che lo faccio per il gusto della sfida. Niente.
Dicevano che con quel cognome, Cohen Kopchovsky, che nascondo sotto la pubblicità
delle acque minerali, non potevo che essere che una spia.
Ho sentito che da qualche mese
qui tutti parlano di un affare di stato, di un capitano dell’esercito francese
accusato di alto tradimento a favore del Reich tedesco, e proprio in questi giorni
sta iniziando il processo. Io non ne so niente, e non ne voglio sapere niente.
Ma le notizie riempiono i giornali… Però però… vedo che hanno trovato spazio anche
per parlare di me, di quella pazza americana che è sbarcata a Le Havre con una
bicicletta e che dice di voler fare il giro del mondo. Ne scrivono e me ne
dicono di tutti i colori. Ma vi ho già spiegato come la penso: è tutta
pubblicità. Il fatto che si parli di me è soltanto una fortuna, perché io possa
portare a compimento la mia sfida.
Dopo qualche giorno, mi hanno
finalmente rilasciata. Mi hanno ridato indietro i soldi, la bicicletta e anche
il revolver, che era poi quello che li aveva insospettiti di più. E siccome le
notizie corrono più veloci delle biciclette, eccomi qui a Parigi dove mi hanno
invitata per una conferenza. Un fotografo mi ha chiesto di posare nel suo
studio per scattarmi delle fotografie. Me ne ha poi stampate un mannello, così
che possa venderle con il mio autografo, e il marchio del suo studio in bella
mostra.
Proprio in quella conferenza, mi
ha avvicinato un giovanotto dall’aria un po’ strampalata. Ha più o meno la mia
stessa età e dice di essere un fanatico della bicicletta. Parla in un modo
stravagante, e non solo perché io non capisco una parola di francese. Dalle parole
che dice mi sembra che escano immagini già belle e formate, come se fossero
oggetti concreti che non hanno bisogno di traduzione: le capisco
immediatamente. Però, questo bizzarro giovanotto, da quando l’ho conosciuto,
tutti i giorni vuole correre in bicicletta con me e non fa altro che allungarmi
la sua fiaschetta di assenzio: dice che alcol e bicicletta sono la combinazione
perfetta, anzi che l’alcol – vino, assenzio, acquavite, per lui non c’è
differenza – è la sola “bevanda igienica” per il vero velocipedista.
A me non sembra proprio così.
L’altro giorno mi ha invitata a pranzo e dopo aver mangiato una grossa costata
e bevuto due bottiglie di bianco fresco, siamo saltati in sella al volo. Da come
mi diceva di pedalare in fretta e da come ci urlava dietro l’oste che si era
scaraventato fuori sulla strada, credo proprio che non abbia pagato il conto.
Questo bizzarro tipo tutte le volte mi si presentava con nomi diversi e
incomprensibili: una volta Faustroll, un’altra Père Ubu, un’altra ancora, mi
pare Jerry Alfred, che alla fine… sì sì, Jerry Alfred credo proprio che fosse
il suo vero nome…
Anche se mi diverte un mondo
pedalare e sentirlo parlare di cose assurde, bizzarre, che lui chiama, se ho
capito bene, “patafisiche”, Jerry però mi sta distraendo dalla mia missione.
Così, senza dirgli ne A né Ba, domani partirò da Parigi. Non ho ancora deciso
dove andrò. Forse m’imbarcherò per l’Oriente, forse noleggerò una mongolfiera
colorata e farò rotta verso la mia Lettonia: a Riga, quando atterrerò e salirò in
sella alla mia bicicletta, chissà che festa mi faranno. O forse no.
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Guendalina Ravazzoni, Parigi
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ADESSO TOCCA A VOI: VIA AI SUGGERIMENTI PER LA TERZA PUNTATA!
Qui trovate l'incipit:
https://www.strastorie.it/2020/10/lincipit-di-strastorie-annie-la.html
Ecco come inviare i vostri spunti a Gino su come continuare il suo
racconto entro le ore 20 di martedì 3 novembre:
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