Non è tutto qui – Quarta
puntata
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Illustrazione di Guendalina Ravazzoni |
Mentre camminiamo verso
casa, osservo la città con lo sguardo un po’ spaesato e curioso del turista.
Perché tutto è nuovo. Le vie, i palazzi, i negozi ma, sopra ogni cosa, le
persone, che suscitano in me nuove percezioni. Non è energia, non è qualcosa
che si vede o che, propriamente, si sente, ma c’è. Sono lucida come non mi
capitava più da molto tempo, così come all’improvviso mi sembra assurdo di
essermi rivolta a una medium. Eppure, è lì che è venuto a galla il mio passato.
Nella mia mente, il ricordo del bosco, i cui
contorni sfumati sono ormai diventati nitidi e hanno il suono delle
conversazioni con mia nonna.
Le hai dato un nome?
Io la chiamo pioggerellina di luce.
L’avevo chiamata così
perché aveva più o meno questo aspetto, una pioggia finissima e luminosa,
oppure, altre volte, dei lunghi filamenti dorati. Quella notte, l’avevo vista e
seguita nel bosco, per questo mi ero persa, ma la nonna sapeva dove cercarmi. Poi,
dopo il trasferimento in Italia e la separazione da mia nonna, avrei
dimenticato ogni cosa, ma quelle percezioni sottili avrebbero continuato a
scuotermi silenziosamente, come un sisma sotterraneo ininterrotto,
raccontandomi per tutti gli anni dell’adolescenza e anche dopo la stessa
storia: non è tutto qui. Erano le amicizie incomplete, le storie d’amore troppo
dolorose, la curiosità verso il mondo e il desiderio di fuggire, tutti i
conflitti interiori che per anni avrei accolto come un destino inevitabile di
una personalità irrisolta, la mia, chissà perché, affrontandoli con gli
strumenti della razionalità.
“Le hai dato un nome?”
chiedo a Nicolò.
Mi guarda, fa una buffa
faccia stupita, poi scuote la testa.
“E cosa fai quando la
vedi?”
“Niente. La guardo e
basta. A volte la seguo.”
“Non seguirla se sei da
solo, però.”
“Perché no?”
“Tu non farlo e basta.”
Mi sembra di rivivere
la mia infanzia, scoperte e sensazioni che ho dimenticato ma che riaffiorano
ora, attraverso mio figlio. Da bambina, mi capitava di trascorrere intere
giornate ad attendere quel momento in cui all’improvviso tutto era chiaro e mi
sentivo forte, sicura. Ero un fuoco acceso e forse già a quel tempo, nonostante
la mia giovane età, qualcuno si era accorto che ci si poteva scaldare su di me.
Le compagne dei primi anni di scuola che mi raccontavano delle loro famiglie
divise e addolorate e io che le consolavo, mi veniva naturale.
Qualche anno più tardi,
durante l’ultima estate trascorsa con mia nonna, le mie domande.
Ma che cos’è?
Ci sono persone che sentono in maniera diversa, che vedono oltre la
realtà e percepiscono l’invisibile. E una volta che senti l’invisibile gli
altri se ne accorgono, anche se non lo capiscono. E ti verranno a cercare per
godere dei benefici del tuo dono.
“Io lo so quando gli
altri stanno male” dice Nicolò a un tratto. “Loro non lo capiscono.”
“Cos’è che non
capiscono?”
“Che posso aiutarli.”
“E come li aiuti?”
“Non lo so.”
Nelle sue parole, avverto
quella consapevolezza ancora acerba di cui ha parlato la medium, quel suo
riferimento alle precedenti incarnazioni di Nicolò, un tema, una possibilità
che, seppure non mi sento di escludere, mi lascia quanto meno perplessa.
Ogni secondo che passa
lascia riaffiorare nuovi ricordi, tutti i momenti in cui non ho creduto in me
stessa, in cui ho rifiutato le mie intuizioni, pur così profonde. Perché dentro
di me c’era una voce che mi suggeriva cosa dovevo fare, che mi raccontava le
storie delle persone che incontravo. Ma la mia conclusione era sempre la
stessa: sono solo sensazioni, io non so nulla e non posso sapere nulla.
Nel frattempo siamo
arrivati di fronte al portone di casa. È già buio. Sopra di noi, un cielo
rischiarato dalla luna appena sorta. Non appena entriamo in casa, Fabio ci
corre incontro, abbraccia Nicolò, inginocchiandosi di fronte a lui. Poi mi
guarda, scioglie l’abbraccio.
“Nicolò, vai in camera,
per favore” gli dice e lui obbedisce.
Rimaniamo soli.
“Dove siete stati?” mi
chiede cercando evidentemente di dominare la rabbia.
“Al parco.”
“Lo sai che ore sono?
Lo sai che ti ho cercato cento volte? Stavo per chiamare la polizia.”
Guardo l’ora sul
cellulare che è offline.
“Mi dispiace, scusa.”
“No, non ti scuso. Non
ce la faccio più. Tu non puoi…”
Non finisce la frase. Si
siede al tavolo della cucina, la testa tra le mani.
“Mi dispiace, Fabio,
avrei dovuto avvertirti.”
“Certo che avresti
dovuto! Valeria, così non possiamo andare avanti, tu…”
“Sono stata da una
medium” ammetto.
“Come?”
“Sono stata da una
medium.”
“Dimmi che stai
scherzando.”
Scuoto la testa.
“Sei stata da una
medium con… Nicolò?”
“No, da sola. Lui sono
andata a prenderlo dopo, a scuola.”
“E perché?”
“Avevo bisogno di
sapere delle cose e…”
“No, Valeria, no. Prima
lo psicologo, poi la pranoterapia, il reiki, poi quella specie di coach, o
quello che è, e tutti quei cazzo di libri che ti sei portata a casa. Ma questo
è troppo, te ne rendi conto?”
Non rispondo. Non
posso. E vorrei dirglielo. Vorrei dirgli che ora, sopra di lui, è calata una
pioggerellina luminosa, ma non posso. È la prima volta che mi capita, da
adulta.
“Io… io non lo so cosa
stai cercando, non lo so cosa ti fa tanto schifo di questa vita che abbiamo. Ma
ho il dovere di proteggere nostro figlio, almeno lui. Nicolò è un bambino
felice, è sensibile? Sì, lo è, è vero, non l’ho mai negato, ma perché vuoi
vederci a tutti i costi qualcosa in più? Non è l’unico bambino sensibile di
questo mondo, no?”
Il suo tono è cambiato,
non è più arrabbiato ora, sembra quasi voler capire. Ed è in questo momento che
accade, la chiarezza arriva tutta in una volta, come una scia luminosa che mi
guida fino a lui. Gli prendo le mani, lo tiro a me e lui si alza, lo abbraccio,
ci abbracciamo.
“Cosa significa
questo?” mi chiede.
“È il mio modo per
chiederti scusa.”
Scuote la testa, si
libera dal mio abbraccio. “Non ti capisco, Valeria, ti prego, dimmi cosa sta
succedendo.”
E così gli racconto
tutto, senza avere la certezza razionale che sia la cosa giusta da fare, gli
racconto la notte nel bosco, mia nonna, la pioggerellina di luce, la sensazione
infantile di poter percepire, sia pure in modo astratto, emotivo, quello che
stava per accadere, quei momenti in cui sentivo in me un’improvvisa chiarezza.
Una chiarezza però alla quale solo in alcuni casi, e in modo tutt’al più
casuale, avrei dato ascolto.
“Mi vuoi dire che sei anche tu una specie di…
medium?” mi chiede Fabio col tono di chi desidera sentirsi rispondere con un
secco diniego.
“No. Non voglio dirti
questo. Non c’è nulla di strano o… magico, in me. Voglio dirti che, se sono
arrivata a rivolgermi a una medium, è proprio per questo. Perché, anche se ho
vissuto la mia vita cercando di agire sempre in maniera razionale, dentro di me
avvertivo sempre una mancanza, qualcosa che non tornava. E non capivo se era
giusto cercare, continuare a cercare, qualcosa che nemmeno sapevo cosa fosse.”
Fabio corruga la
fronte, lo sguardo sospettoso che esprime la sua indecisione sul come porsi,
ora, nei miei confronti. E io ripenso a Marco, alla mia relazione segreta, mi
chiedo se in lui, nei nostri incontri clandestini, ci sia mai stato un
filamento dorato, una goccia di luce.
Ciò che conforta questa visione del futuro deriva inoltre da un’altra
fondamentale circostanza della quale la donna è consapevole e che la spingerà,
in tempi brevi, a interrompere una relazione che pure in questi mesi è stata
molto significativa.
Le parole della medium risuonano
di nuovo nella mia mente, ma questa volta è diverso. Percepisco nitidamente una
stonatura, anche se non so spiegarla. Mi chiedo se quella donna, quello spirito
col quale lei dice di comunicare, abbia colto davvero qualcosa di me, del mio
passato, del mio futuro. In fondo, fino a oggi, non avevo mai osato tanto, guidata
da una razionalità e da un approccio pratico che riconosco anche adesso come
segni distintivi del mio carattere. In fondo, anche una vita di mezze verità
lascia qualche segno e non posso dimenticare chi sono ora, e come sono
diventata quella che sono.
“Andiamo fuori a cena?”
chiedo a Fabio. “Ho bisogno di qualcosa di normale.”
Sorrido, gli do una
carezza sulla guancia, come se fosse un bambino. Lui scuote un po’ la testa, ma
poi annuisce, e sospira.
“Sono io qualcosa di
normale?” mi chiede con tono rassegnato.
“Sì, è per questo che
ti ho scelto, no? L’ho sempre saputo. Mi dispiace, Fabio, per tutto, ma da
adesso in poi andrà tutto bene.”
Sorride. “Questa non me
l’avevi mai detta.”
“Perché prima non lo
pensavo.”
“Nemmeno io.”
“E ora lo pensi?”
“Andiamo a cena o no?”
In quel momento Nicolò
compare sulla porta, ha già la giacca addosso. Ci scambiamo uno sguardo di
intesa mentre una fitta pioggerellina di luce scende su di noi, sulla nostra
casa, su questi sentimenti complessi e sulle sensazioni impalpabili. Così la
conclusione arriva per me prima di ogni previsione, perché se non è tutto qui,
vuol dire anche che qui c’è moltissimo, una vita infinita fatta di elementi
concreti, materiali, una vita capace appunto di generare l’illusione che sia
tutto qui. E il giorno in cui decidi di guardare oltre può arrivare in
qualsiasi momento. Nel frattempo, devi coltivare e proteggere quel tutto
incompleto in cui vivi. O trovare un uomo prezioso che lo faccia per te.
“Sta cominciando a
piovere” dice Fabio quando varchiamo la soglia del portone.
Io e Nicolò ci
scambiamo uno sguardo di intesa e sorridiamo.
“Che c’è?” chiede
Fabio.
Lo prendiamo per mano,
io da una parte, Nicolò dall’altra.
“Finalmente piove.”
FINE
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Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
In collaborazione con Fonderia Mercury
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Ospiti: Alessandro Beretta, Piero Colaprico, Carmen Covito
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