mercoledì 20 settembre 2023

I capitoli 12 e 13 di Andrea Ferrari e Francesco Gallone

Capitolo 12. Via col vento

 

De qua del mur, illustrazione di GAL e basta
 

 

Ospedale di Niguarda – Domenica fra il pomeriggio e la sera

 

Qualcuno ha chiamato la polizia, ma la polizia non c'è. È troppo impegnata a scavalcare muri. Almeno, essendo in un ospedale, ci sono i medici, sebbene Magagna di un medico non avrà bisogno mai più. Di Pace invece è uscito dal comatoso torpore, ha chiesto un telefono per chiamare casa. Per sentire i suoi. I suoi sono murati in quartiere, avvolti dai corrugati emersi dai marciapiedi, punzecchiati dalle gru. Il figlio più piccolo gli chiede quando tornerà a casa. Presto, risponde lui. Più una speranza che una previsione.

 

Fratello Michetta piange, singhiozza, soffre. La sua città non lo vuole più. «Non lasciarmi, ti prego!»

Fratello Trani chiama col cellulare fratello Nervetti, lo psichiatra: «Michetta c'ha un crollo!».

 

Denali sta in piedi al capezzale di Marco, mentre Jonathan Thoughts illustra la situazione: «Quindi porteremo i documenti che abbiamo scoperto a questo avvocato, Dei, e ordiremo una offensiva mediatica e giuridica contro i progetti di Assessore e soci, smascherando i politici coinvolti e...».

«Perché io?» chiede Denali.

«Tu perché... perché non tu?» risponde Thoughts.

«Non ha senso. Potreste andare tranquillamente voi, io non ne so niente, non conosco gli altri. Perché io?»

«Perché... perché non sei l'eletta. E non lo è nemmeno tuo figlio. Perché quando vi sveglierete tutti da questo brutto sogno, tu sarai una persona normale. Io rimarrò nel sogno, ma voi tornerete alla realtà, al quotidiano. A scuole, lavoro, tram, a metropolitana, cantiere, supermercato, ai giardinetti, alla rotonda. E tu sarai una persona normale che vive tutto questo. Come Nino e la sua famiglia. Più o meno onestamente.»

«Nino? Chi è questo Nino?»

«Nino? Ah, certo, Nino è te, ma dall’altra parte della città. Ha appena avuto una bimba, Tecla l’hanno chiamata, e così anche lui ha qualcuno per cui fare la rivoluzione. E le rivoluzioni le fanno le persone normali. Sai quante persone normali avrebbero potuto impedire l'Olocausto, se solo tutte insieme si fossero rifiutate di eseguirlo? Sai quante persone normali...»

«Non ti credo. Non è così. Non...»

«Se fosse un vezzo? Un caso? Ho incontrato te, e ho bisogno di sostegno?»

«Non...»

«Che lavoro fai, Denali?»

«Sono un'impiegata de...»

«Sei un architetto. Tu puoi leggere il progetto.»

«Stai andando a braccio.»

«Vivo a braccio. Allora? E comunque per domani ho un piano.»

«Un piano? Che piano?»

«Tempo al tempo. Ho detto domani. Domani è un altro giorno.»

Denali in realtà è eccitata dall'idea di affrontare un'avventura. A frenarla sono un compagno e un figlio.

«Ettore dovrà venire con noi.»

«Sì. E Marco, avrei bisogno che tu custodisca il signor Di Pace.»

«Perché?»

«Perché Franco Di Pace è qui con noi per aver preso un mattone in testa. E non può essere un caso.»

 

Denali infila Ettore nel marsupio, si accomiata da Marco, e segue Thoughts.

«Andiamo dalla donna col diadema?»

«Naaah, mica esiste. È una figurazione. Andiamo a salvare la città.»

 

Le strade sono piene di: mattoni, corrugati, tombini divelti, auto scosse, gente spaventata, operai in divisa, tantissimi operai in divisa indaffarati a smontar mattoni, sradicare corrugati, riassestare tombini, raddrizzare auto, spaventare la gente. Jonathan, Denali ed Ettore camminano di buon passo per raggiungere la metropolitana gialla, la via più sicura per giungere in Corvetto. Risalgono verso piazzale Maciachini, lungo strade che di domenica erano tranquille, prima dei mattoni. Jonathan ogni tanto sussurra qualcosa, con gentilezza, e i mattoni si scostano. Denali riflette su quanto le assurdità non ti meraviglino più, dopo la prima volta. Le fa più senso scendere in metropolitana, ma il sorriso di Thoughts è rassicurante.

 

In Corvetto la gente sta per strada. Gente che parla, gente che grida, gente che sa chi ha messo i mattoni, gente che non ne ha paura, gente che ne è terrorizzata, gente che magari domani mattina non andrà al lavoro, gente che il lavoro non fa per lei, gente. È domenica sera ormai. Jonathan guida Denali verso casa di Nino, e in mezzo alla gente incontra Zao, che li segue.

 

Nino si mette ai fornelli e improvvisa una spaghettata aglio olio e peperoncino per tutti. Nel frattempo Denali studia i progetti al computer e conferma, il piano speculativo è esattamente brutto come si aspettavano. Lo conferma anche Zao, che racconta le scoperte fatte craccando il computer del venerabile zio Tao, ex agente segreto cinese. È abbastanza presto.

«Finiamo questo piatto e andiamo dall'avvocato» dice Jonathan.

 

Via Olmetto è un’oasi scura all’interno di un miraggio nero come la pece, anzi come le sabbie mobili del Nulla che si sono ingoiate Artax, il cavallo del ragazzino selvaggio.

Il gruppo di eroi per caso e per causa di Jonathan Thoughts, riunito e rifocillato dalla spaghettata, si è spostato per vie traverse, dopo aver affrontato il viaggio in metropolitana per attraversare tutta la città. Hanno camminato fino a qui, e Nino a un certo punto si è preso in collo Ettore, che la ragazza con la pelle scura e il cuore chiaro come la luna sul parco Sud era troppo affaticata. Il marsupio le tagliava le spalle e le faceva formicolare le mani.

“Permetti che me la porto io la creatura? Sono abituato, modestamente. Tutti maschi facevo io, fino a Tecla mia.”

Denali ha esitato un momento, più per dovere che per mancanza di fiducia, e alla fine ha sorriso e ha dato Ettore a Nino. Toni le si è avvicinato e le ha detto che Nino è un mago a far dormire i piccolini.

Ettore si è accomodato dietro alle spalle ossute di Nino e paf, ha preso a ronfare come un ghiro nel marsupio della sua mamma. I ghiri non hanno il marsupio, obbietterete, ma neppure i muri crescono per le strade, in teoria, quindi passateci questa licenza poetica.

La strana brigata di Jonathan Thoughts è composta da Denali, Ettore, Nino, Toni, Zao e Fabietto. Manca solo il corpulento Sayed, rimasto in panetteria ad aiutare il padre, mentre Rafe' è partito in anticipo e ha fatto da apripista ai suoi amici. Quello che ha visto non gli è per niente piaciuto, la devastazione è spesso foriera di rinascita, ma questa volta la favola della fenice – l’uccello che risorge dalle proprie ceneri –, che gli raccontava sua nonna Gertrude quando era poco più di un pulcinone rischia di restare quello che è: una favola e qualche piuma bruciacchiata.

Jonathan Thoughts guarda la sua brigata, sorride e fa segno a Zao di craccare il citofono.

È meglio che la sorpresa venga bene.

 

 

Capitolo 13. Dei ex machina

 

Via Olmetto, Milano Centro

Lunedì mattina

 

Teresio Dei è ancora confuso e per niente felice mentre inforca la sua Dei d’epoca e cerca di districarsi nel groviglio di muri, corrugati, cavi e operai che sono le strade della città da qualche giorno a questa parte. È confuso, sì, e ripensa alla strana serata di ieri.

Fratella Paternoster, che strano personaggio, al pomeriggio lo aveva ammaliato. Anzi, lo aveva ammalato con le sue moine e con quella stupenda parola che nella sua bocca, sublime, suonava brutta e vendicativa: riscatto. L’operazione @AtlantiDue era la sua occasione, aveva detto. Il giusto modo per dimostrate a tutti quelli che lo avevano sempre denigrato a mezza voce chi era davvero l’avvocato Teresio Dei. Uno che sapeva distinguere il bene dal male. I buoni dai cattivi. E che sapeva scegliere la parte giusta della barricata, soprattutto in un momento cruciale per il futuro della città e del mondo, per come lo si era conosciuto fino a quel momento. Il suo compito era semplice, quasi puerile, ma è il futuro è dei piccoli. Così Teresio Dei, avvocato piccolo piccolo, Don Abbondio con un po’ più di sensibilità e poesia, ma che non aveva azzeccato quasi niente in tutta la sua vita, si era quasi convinto a farsi ingarbugliare dal piano di Fratella Paternoster. Il tutto era quasi banale, nella sua inettitudine. Dei non doveva fare niente. Doveva restarsene nel suo appartamento di via Olmetto e aspettare che gli eventi si prendessero la briga di fare il proprio corso. Non doveva rivelare quello che gli aveva detto l’Assessore. Piuttosto, ma che fine aveva fatto quel demonio di un demonio? Fratella Paternoster lo aveva rassicurato dicendogli che non doveva fare due più due e non si doveva preoccupare di tutto quello che era successo fino a lì e, soprattutto, di quello che sarebbe successo nel giro di qualche giorno, se non di ore.

Sarebbe arrivata una tempesta, ma la casa di via Olmetto l’avrebbe attraversata indenne, come legno sicuro, e alla fine, quando l’alba di @AtlantiDue sarebbe spuntata Teresio Dei avrebbe occupato il posto che gli competeva all’interno del nuovo Comune di @AtlantiDue.

Fratella Paternoster gli aveva mostrato su un portatile ultrapiatto il rendering di un grande ufficio, con vista sul rinnovato velodromo Vigorelli, e gli aveva promesso il posto di assessore alla mobilità. Che, manco a farlo apposta, Dei avrebbe promosso a due ruote, senza spinta elettrica e senza quei citrulli sui monopattini. Dei aveva capitolato. Non c’erano contratti da firmare, ma lui avrebbe firmato con il grasso della catena, il sangue unto e romantico di chi ama la bicicletta.

Poi, a tarda sera, quasi a notte, era arrivato il caravanserraglio di quel Jonathan Thoughts, il tizio che aveva già visto al Mono in Porta Venezia, che gli aveva proposto di perdere tutto, casa, carriera e assessorato alla mobilità, per guadagnare la riconoscenza della città e della sua banda di scappati di casa. Era logoro e cencioso, e il gruppetto che l'accompagnava non era messo tanto meglio, ma tutti avevano le facce diverse da quella perfetta di Fratella Paternoster. Erano vere, con tutte le rughe d’espressione al loro posto. Il gigante Thoughts, Nino il ladro con il naso a becco e i baffetti da sparviero. Un tipo secco secco, diverso da come se l’era immaginato durante la telefonata con l’Assessore. Poi il cornacchione sospettoso, la giovane con il bimbo e anche i tre ragazzetti. Erano tutti appartenenti alla schiera dei veri, che secondo Dei non erano per forza i buoni, ma che gli avevano portato le prove provate delle porcherie che intendevano fare alla città l’Assessore, la sua cricca, e gli speculatori di @AtlantiDue che per tirare in piedi quella porcheria avevano assoldato un architettone che abitava in un castello in Francia, addirittura. Francese, robb de matt, aveva pensato Teresio in dialetto. Massoni, pegg’ ammò. Poi, il colpo di grazia glielo aveva dato il cinesino. El fiulin cont i oecc a zaccarella, che era una stampa e una figura con il Chen, il suo amico barista, ma aveva l’accento milanese e gli aveva risposto che di sicuro aveva un parente di nome Chen, ma che non sapeva se facesse il barista. Gli avevano fatto vedere un video. Una riunione delle Grandi Metropoli Coscienti. Una roba che a dila adess la ghe faseva vegnì ammò la pel de capùn de dree del col. Le città sopra il milione e mezzo di abitanti erano vive. Vive e vegete. Parlavano, si riunivano e prendevano decisioni. Governavano insieme i territori ed erano in grado di influenzare le vite di tutte le persone che le abitavano. Dei era rimasto esterrefatto. Poi l’aveva vista @AtlantiDue, il futuro. L'∞.0. La sublimazione del finto, del classismo più spinto. @AtlantiDue era come una bicicletta elettrica. Era il male, mentre Milano era una Dei vintage. Il bene. Il suo bene. Così, senza dire una parola sulla visita di Fratella Paternoster e sulla Massoneria, che per altro lo aveva fregato su tutta la linea, dato che le biciclette sull’acqua non ci possono andare, aveva detto un timido sì. Aveva anche steso un velo pietoso sul fatto che si sarebbe fatto volentieri una riga di coca per vedere finalmente l’effetto che fa, e intenzionato a vincere quella causa persa, aveva ribadito un più convinto vengo anch’io. Poi il gruppo gli aveva fatto notare, che dal Sindaco, quello era il piano, a denunciare tutte quelle terribili macchinazioni, ci sarebbe dovuto andare da solo. Loro erano poco credibili in certi contesti, se ne rendevano conto da soli. La ragazza scura con il bimbetto nel marsupio, l’architetto, era stata categorica nella sua dolcezza. “Le vede tutte queste linee, avvocato, le tocchi, venga.” E gli aveva fatto mettere un dito su ciascuna linea rossa sullo schermo del tablet fotonico di Zao. “Senta, tocchi le escrescenze. Cicatrici brutte, rimarginate male che segnano confini demenziali. Tutto questo sarà il futuro della nostra città. Un futuro di devastazione, un Frankenstein che andrà abbattuto per lasciare spazio al folle progetto di @AtlantiDue.”

Dei si era fatto convincere, anche perché il ragazzino cinese con i suoi due amici, Toni e Marchino, lo avevano messo alle strette. Marchino gli aveva anche rotto la vetrinetta della nonna con una fiondata molto intimidatoria. Zao, così aveva detto di chiamarsi il forse nipote del Chen, aveva tirato in ballo anche il servizio segreto cinese, grazie al quale si era già messa in moto una serie di contromisure al piano scellerato di @AtlantiDue. Pareva che Pechino si fosse risentita di quel cervellotico piano di sostituzione urbana, ma d’altra parte si sa che la Cina è insondabile anche se sembra sempre più vicina.

 

Palazzo Marino gli si para davanti con la maestosità gentile di un ghisa agghindato per le grandi occasioni. Nessun blocco per l’avvocato Dei. La bandiera di Milano, quella italiana e il gonfalone europeo sono brillanti, nonostante il colore del cielo ricordi il fumo di una marmitta scassata e la polvere rossa dei mattoni macchi i vestiti e anche le panchine della piazza. Sul lato opposto al palazzo del Comune, La Scala è silenziosa, chiusa come un pianoforte al quale sia stato sigillato il coperchio. Silenzio, si costruisce e non c’è spazio per nient’altro. Anche la musica è superflua. Solo rumore di cantiere, melodia stridente che piace unicamente ai costruttori. Sulla facciata di Palazzo Marino, per niente ingrigita dallo smog cittadino, campeggia uno striscione che inneggia alla verità e alla giustizia, simulacri esposti come compiti delle vacanze copiati all’ultimo e consegnati a un docente poco attento e che non li controllerà mai. Il Comune ha fatto i compiti, pensa Dei sconsolato e, con il cuore e il cervello che picchiano come uno dei mille martelli pneumatici che ha visto all’opera mentre si recava in piazza della Scala, si dice che c’è qualcosa che non torna in tutta questa faccenda. Gh’è un quaicoss che la va no. Ieri sera ha mandato una mail al Gabinetto del Sindaco, chiedendo urgentemente udienza e, d’accordo che si era firmato come avvocato del Foro di Milano, ma non avrebbe mai pensato che l’appuntamento glielo avrebbero dato così alla svelta: “Gentilissimo avvocato Dei, il Sindaco la riceverà domattina alle ore 10.00 c/o l’ufficio di Palazzo Marino”.

Dei ha un bel piano in testa, si è preparato la sua brava arringa come se si trattasse di un dibattimento, di quelli dove fa sempre una gran figura agli occhi del proprio assistito, ma alla fine non vince mai, e spera che i video di cui è in possesso, oltre che il masterplan dell’Assessore, possano convincere il Sindaco ad allertare la forza pubblica, il prefetto, e tutti i media della città.

Il piantone all’ingresso si mette sull’attenti e lo saluta, mentre varca il grande portale che dà l’abbrivio al cortile, curatissimo, e alle scale che portano al cuore del palazzo.

Un usciere, vestito come un venditore di case, gli si fa incontro, ossequioso: «Avvocato Dei, giusto?».

«Eh, sì» balbetta il nostro, che ha già una frittata di cuore in testa e non ricorda più bene neppure dove ha messo la bici.

«La bicicletta la dia pure a me. Possiamo appoggiarla qui. Non c’è bisogno di legarla, ci mancherebbe.»

Dei affida la bici al suo Virgilio il quale, a tutta prima, sembra più intento a vendergli l’intero palazzo che ad accompagnarlo all’ufficio del Sindaco.

A Dei questa solerzia puzza di bruciato. Le bici, poi, andrebbero lasciate fuori, di norma.

La sua Dei d’epoca viene messa con la ruota di dietro in una rastrelliera posata a bella posta e pare guardarlo con il suo unico occhio a fanale. Un Polifemo troppo malinconico e sensibile che finirà accecato dall’incuria e dalla sciatteria.

“In bocca al lupo, Nessuno” sembra dirgli la bici, e con “nessuno” non intende il suo nome, ma il suo status sociale. Il valletto lo introduce all’interno del palazzo, e gli fa ammirare con il gesto di un braccio lo splendore sobrio e molto milanese degli arredi. Dei non resta troppo impressionato, che ormai una vita fa ci era entrato per celebrare la vittoria del vecchio sindaco. Un progressista, appoggiato dalla stessa coalizione del Sindaco attuale, che dopo un solo mandato si era smarcato ed era tornato a fare l’avvocato. Proprio come Dei.

Lui però non può lasciare il piano a mezza via, deve portare a termine la missione che Jonathan Thoughts del Consiglio delle Grandi Metropoli Coscienti gli ha affidato.

I passi di Dei e del valletto scricchiolano sul pavimento e il Sindaco li sente arrivare, così si affaccia dall’ufficio.

«Avvocato Dei, prego, si accomodi.»

«Signor Sindaco, buongiorno.»

Il valletto viene congedato e i due restano soli dentro allo studio che è identico a quello che si vede quando, praticamente tutte le settimane, il Sindaco trasmette la sua live sullo stato della città. Un appuntamento fisso del venerdì, in modo che il weekend possa iniziare con la benedizione e le spese possano arricchire le casse della città.

Il Sindaco si siede, sorride e allarga le mani un po’ troppo grandi rispetto al resto del corpo.

Ricorda una marionetta, anzi un burattino di quelli con il buco per metterci la mano e farlo muovere a piacimento. Quei burattini, pensa Dei, hanno proprio il testone con il naso lungo e le mani grosse e gliele fanno muovere continuamente come a sostenere le parole e i concetti.

Alle spalle del Sindaco, che sfoggia una pacchiana cravatta arcobaleno, una teoria di foto che lo ritraggono con i rappresentanti delle comunità milanesi. Il Sindaco che beve un cocktail al Mono di porta Venezia, il Sindaco con l’imam della novissima Moschea di via Esterle a NoNoLo, il Sindaco con la maglia del Milan che stringe la mano all’allenatore della squadra, poi il Sindaco con la maglia dell’Inter mentre stringe la mano all’altro allenatore, il Sindaco sulla bici che consegna la pizza nelle mani di un rider sbigottito, il Sindaco che inaugura un grattacielo nel distretto di Porta Romana e il Sindaco che ara un campo del Parco Agricolo Sud Milano. Poi il Sindaco che ride, il Sindaco che applaude, il Sindaco che festeggia le Olimpiadi invernali, il Sindaco che pianta un filare di pioppi e sorride, anzi ride, no, sghignazza. A Dei gira la testa, il suo gran bel piano gli sembra fare acqua da tutte le parti, ma è il Sindaco a riportarlo sulla terra:

«Avvocato, vuole un caffè?»

«No, no, grazie.»

Dei lo vorrebbe corretto grappa, come quello che stamattina ha evitato di prendere dal Chen per paura che i servizi segreti cinesi lo potessero intercettare, che non si sa mai con quella gente lì, chi è il buono e chi è il cattivo.

«Allora, mi dica, cos’è tutta questa urgenza?»

«Sì, certo. Sindaco, vede tutto quello che sta succedendo a Milano in questi ultimi giorni?»

«Ovviamente, ma stiamo già mettendoci a regime. Quello che si può distruggere lo distruggeremo e il resto lo ingloberemo come faceva l’Impero Romano. Milano non si ferma.»

«Certo, certo, però io volevo dire che so cosa c’è sotto a tutto questo.»

«E cosa c’è, di grazia?»

«Una macchinazione, Sindaco. Conosce l’assessore Brigotti, quello della Regione intendo?»

«Sì, ovviamente, è una personalità nel campo edilizio e politico regionale.»

«Ecco, appunto. È il terminale di una macchinazione per far diventare Milano uno sterminato campo di case, strade e grattacieli. Vuole radere al suolo tutto il verde pubblico, bandire le biciclette e far tornare la mobilità agli anni Ottanta. Le auto che girano anche in Duomo, capisce?»

«Ma a Milano non comanda la Regione.»

«Certo, ma l’Assessore ha la Massoneria che gli fa da sponda. Ce la farà, le dico, e i problemi non finiscono qui. La Massoneria è deviata e al suo interno è in corso una specie di colpo di Stato. Una donna, una certa Fratella Paternoster, ha preso il comando e sta sponsorizzando e costituendo una nuova città. @AtlantiDue. Una città ∞.0 pronta a sostituire con il plauso di tutti lo scempio che realizzerebbe il potentato dell’Assessore. Mi spiego?»

«Mi sembra farneticare, più che altro.»

«No, no. Lo so che sembra una pazzia, ma io ho le prove. Qui, nella chiavetta, ho il masterplan dell’Assessore. Ho il video del sicario che ha mandato per uccidere l’unico geometra comunale che gli voleva bloccare i cantieri e ho anche il video in cui un megarchitetto francese, emissario di Fratella Paternoster, presenta il progetto della città ∞.0 al Grande Consiglio delle Metropoli Coscienti. I servizi segreti cinesi hanno intercettato il tutto e il mio amico Zao, compagno del figlio di Nino, nipote di un vecchio agente del Guoanbu me lo ha fatto vedere e ora lo sto dando a lei.»

«Avvocato, si sente bene?»
«Io sì, Sindaco. Ma è Milano ad essere in pericolo. I corrugati che spuntano dal sottosuolo non sono come i muri. I muri sono la reazione della città, come se la cerchia spagnola e quella romana stessero spuntando di nuovo per ribadire che i confini della città sono sacri. Capisce? I corrugati invece sono guaine per cavi di cablaggio. Siringhe che inoculano il virus nel tessuto della città.»

«Avvocato Dei, che delusione.»

A parlare non è il Sindaco, ma Fratella Paternoster che spunta da dietro la poltrona del Sindaco e gli posa una mano sulla spalla. Il Sindaco la guarda, ebete, e sorride.

Come sorride il Sindaco, pensa Dei. Poi tutto gli gira, mentre il Sindaco gli fa vedere il contratto firmato di suo pugno. Documento con cui Milano abdica in favore di @AtlantiDue. Tutto gira ancora più forte, intorno a Dei. Nelle foto, adesso, il Sindaco stringe un grattacielo con la maglia dell’Inter, inaugura la maglia del Milan rovesciandoci sopra un cocktail al Mono in porta Venezia, sradica un filare di aratri mentre pianta un trattore arcobaleno su una ciclabile fatta solo di cocci di bottiglia, frusta il rappresentante della comunità musulmana e prova a nasconderlo nel cubotto del rider al quale ha legato la cravatta arcobaleno come fosse la fascia di Rambo.

Non c’è più niente da fare. Missione fallita.

«È pazzo. Rinchiudetelo» dice Fratella Paternoster, mentre rimette la mano dietro la schiena del Sindaco e come un ventriloquo imita la voce del primo cittadino all’interfono.

Dei vede arrivare i portantini, cerca di divincolarsi, ma si ferma quando riconosce il caposquadra.

«Ho la bici qui sotto» dice. «Non è legata. Ci terrei a portarla con me.»

 

 

Il pomeriggio dello stesso giorno, a Niguarda

 

Il conciliabolo dei vecchietti.

Sono una decina, tutti con nomi stranissimi, vestiti con i camicioni bianchi del reparto di psichiatria dell’ospedale Niguarda, e confabulano indaffarati. Nel mezzo, un professore con il camice e una schiera di penne nel taschino sembra essere quello che conduce l’assemblea.

Sui vialetti, nonostante il cielo sia color del fango e l’aria abbia preso l’odore delle fogne di Calcutta, un paziente gira in bici con una Dei d’epoca e ha il volto sereno.

«Si fermi, avvocato, per cortesia» dice il medico. «Venga qui con noi.»

L’avvocato arriva, posa la bici aiutandosi con il pedale incastrato sul cordolo del giardinetto e si unisce al gruppo.

«Fratelli» dice fratello Trani «seguendo il consiglio di fratello Nervetti, il primario di questo reparto, ci siamo fatti internare insieme all’avvocato Dei per riorganizzarci. Dobbiamo espellere dai liberi muratori Fratella Paternoster, quella serpe, e riprenderci la nostra città.»

«Giusto!» grida il Michetta. 

«Sacrosanto» fa il Busecca, seguito dal Pizzaltrancio e da tutta la Congrega della Teppa.

«Abbiamo dei buoni contatti» aggiunge fratello Nervetti, che è il padrone di casa. «La comunità cinese è dalla nostra parte e ci aiuterà ad assemblare il nostro Difensore. Per ora dobbiamo stare qui, far tesoro del materiale che abbiamo preso all’avvocato e aspettare che tutto passi. Poi, quando anche i cinesi e tutti i sopravvissuti penseranno alla città del futuro, noi potremo riprendere a tramare nell’ombra per l’incastellamento della nostra bella Milano.»

Tutti gridano di giubilo.

Tutti tranne Dei, che se ne infischia dei piani cervellotici di incastellamento dei massoni, ma capisce perché il portantino che lo ha preso a Palazzo Marino era cinese e aveva la stessa faccia del Chen. Comunque, de qua del mur non si sta poi così male.

Sopra il gruppetto, appollaiato su un pino gigantesco, Rafe' si alza in volo e se ne torna a casa di Nino, dove lo aspettano i suoi compagni. Jonathan Thoughts e Zao sapranno certamente cosa fare per assemblare il Difensore. O almeno ci spera.

Il cielo ormai è una cloaca che sta per straripare e le ali nere di Rafe’ faticano a fendere l’aria spessa e densa di umori maleodoranti.

 

 

 

 

 

mercoledì 13 settembre 2023

Stop agli spunti e via ai nuovi capitoli!

Rieccoci con un grande classico: STOP AGLI SPUNTI! Andrea Ferrari e Francesco Gallone sono pronti a fare tesoro delle suggestioni ricevute da Marina Visentin e dai lettori. Appuntamento a mercoledì 20 settembre con i prossimi capitoli di StraStorie 2023 - Metropolis Edition!


Covo della Ladra - Ladra di Libri
I dobloni del Covo della Ladra

#strastorie #scriviamoinsieme #milano #scriviconnoi
 

mercoledì 6 settembre 2023

Il capitolo di Marina Visentin di StraStorie Metropolis Edition

Capitolo 11

Fratella d'Italia

GAL e basta, StraStorie 2023

Intanto, nel castello di Castelnaud…

 

Lo squillo del cellulare placcato oro dell’archistar Goémond Crevant-Laveine è una canzone di Sylvie Vartan, in omaggio (uno dei tanti) alle memorie amoroso-erotico-onanistiche dell’ex ragazzino della profonda provincia gallica. Nel vasto salone in stile Luigi-minimal-XVI del suo castello in Dordogna, lo strapagato ideatore di futuri fantastici non può fare a meno di provare un brivido.

«Pronto?»

«È in linea, Crevant-Laveine?»

«Ma certo, assolutamente. Sono a sua totale disposizione.»

Lui, la star dei progetti faraonici, mansueto come un Fantozzi spalmato di fronte al megadirettore galattico. Un Fantozzi alla francese, bien sûr, un Fantozzí. E se il consesso a cui sta per rivolgersi non è galattico, poco ci manca davvero.

 

Intanto, nella città che non risponde al consesso delle GMC, le Grandi Metropoli Coscienti…

 

L’avvocato Teresio Dei è un uomo mite e discreto, così discreto che poteva fare solo l’avvocato o l’agente dei servizi segreti. O il presidente del consiglio, se oltre ai pesanti occhiali avesse avuto una gobba adeguata. Così discreto che un attimo dopo che gli hai stretto la mano ti chiedi se era vero o se te lo sei sognato.

L’avvocato Dei è un uomo tranquillo, dal sangue talmente freddo che a volte gli fa venire il raffreddore. Ma oggi è un po’ agitato, diciamo anzi parecchio agitato – e anche per questo, ecco, bisognoso di un aiutino in polvere. E se dopo tanti insuccessi e tante cause perse stavolta fosse davvero arrivata la sua grande occasione?

 

Intanto, in un’altra dimensione…

 

«Chiediamo la parola.»

La voce è neutra, né maschile né femminile, decisa senza essere autoritaria. Le Grandi Metropoli Coscienti – lo abbiamo detto – non sono entità fisiche, reali e tangibili eccetera. Ma in questo momento è come se ogni Metropoli avesse una testa e tutte le teste si stessero girando e tutti i circuiti e le sinapsi si stessero chiedendo in tutte le lingue: «Chi è che ha parlato?».

«Noi».

«Noi chi?»

«Noi, il futuro.»

Silenzio perplesso. Le GMC danno per scontato di essere loro il futuro.

«Noi siamo il progetto @AtlantiDue. È giunto il momento che siate informate della nostra esistenza».

Le GMC si consultano, ma è come se le loro collaudate sinapsi fossero passate a un temporaneo stand-by. Come se si fossero rincoglionite, cioè.

«Voi insistete a riscrivere sul foglio nero del passato. Noi scriviamo sul foglio bianco del futuro.»

Ogni GMC è perplessa, ognuna nella sua lingua prevalente – più facile per Mosca, un po’ meno per New York. Ogni GMC sporge la lingua di fuori, nello sforzo di concentrarsi. Cioè, sporgerebbe la lingua di fuori se ce l’avesse, una lingua. Le GMC non sono creature viventi eccetera, lo abbiamo detto.

«In un mondo che avete dominato e che continua a pensare al passato, ascoltate la parola di qualcuno che ha imparato a osservare con profitto il futuro.»

 

Intanto, nel castello di Castelnaud…

 

Sul cellulare placcato oro di Crevant-Laveine appare un messaggio silenzioso e suggestivo, con una vecchia foto in nero e bianco (eh, sì, i francesi non dicono “in bianco e nero”) di Sylvie Vartan in guêpière e giarrettiera. Il segnale.

 

Intanto, in un’altra dimensione…

 

Davanti alle perplesse GMC si materializza un maxischermo digitale gigante da fare invidia all’Arcadia di Melzo (zona ancora priva di acronimo distrettuale simil-USA, ma è solo questione di tempo). Al centro, l’elegante star del mattone greenwashed tre-punto-zero, Crevant-Laveine.

«Bonjour» esordio cortese ma banale, attimo di perplessità reciproca tra le GMC e (acronimo oblige) il neoarrivato GCL.

Un altro messaggio: Sylvie (sempre lei) in topless, ma resa sfocata da un ritocco digitale.

È come una sferzata di energia, per l’archistar.

«Il mondo è a una svolta» proclama solenne «verso l’inferno o verso il paradiso. Verso la perdizione e la catastrofe o verso la leggerezza e la bellezza, che rimano con salvezza.»

Venezia affonda? Con le opportune risorse, presto diventerà Acquazia, un aquapark a tema con gondole subacquee condotte da gondolieri robotizzati.

La Grecia brucia? Atene sarà salvata da un moderno Olimpo gestito da un’Intelligenza Artificiale chiamata Zeus.

Il mare erode la Terra? Isole artificiali a difesa delle coste, da utilizzare a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche come resort o come nuove città autosufficienti e autopulenti.

Le vecchie cittadine rurali cadono a pezzi? I tycoon – ehm, i benefattori – della Silicon Valley sono pronti a investire capitali per New Towns ovviamente autosufficienti e autopulenti e altro ancora.

I voli aerei inquinano? Voli spaziali – sia di esplorazione sia turistici – ridaranno vita a Cape Kennedy e a Bajkonur, dopo un necessario restyling (Enjoy Kennedy e BajkoNew, per esempio).

Sulla Luna ci si annoia? Si costruirà a tempo di record una Disneymoon…

… e via così, GCL è un fiume in piena, una cascata di progetti formidabili uno più faraonico e futuristico dell’altro (c’è anche un altro aggettivo che inizia con la F, ma lo scopriremo dopo…)

… ridisegnare e rinominare, dalla Trumpet Tower al Coloss-CEO, bellezza e leggerezza, e per venire alla metropoli al centro delle preoccupazioni del momento, l’efficace ma troppo esplicito ANo potrebbe diventare AfNor, con un retrogusto fantasy da Signore degli Anelli e l’abusata Brera un’effervescente e rinfrescante Beer-ra, con la PINacoteca di Beer-ra…

… l’acronimo PIN fa sorgere un fugace dubbio su Ma-Chi-Paga-Tutto-Questo, e un ancor più fugace timore su Ma-Chi-Potrà-Permetterselo…

Ma se la questione è – e diciamola, la parola! – i Poveri, oh là là, y a pas de souci, nel Progetto @AtlantiDue non ci saranno Poveri, basta seguire il precetto: “Siete poveri? Arricchitevi!”. C’est facile, quoi!

Segue una scia di silenzio, fruscii impercettibili di sinapsi che ritentano il collegamento, ma non è facile con queste reti sovraccariche che risentono degli scarsi investimenti pubblici, rattoppate alla meglio quando la caldazza fa fondere l’asfalto e i cavi o le inondazioni li mandano in tilt…

… le GMC non possono che concludere che è necessario approfondire la questione – le GMC che davano per scontato di essere loro il futuro – e aggiornare la riunione a data da destinarsi.

Goémond Crevant-Laveine si congeda (è il caso di dirlo) urbanamente. Lo sguardo avidamente chino sul nuovo messaggio che vale oro, con la stessa Sylvie in topless, ma stavolta in nitidezza cristallina. Oh là laaaaahh

 

Intanto, in un attico minimal-sceiccobianco di CityLife (CyLi)…

 

La donna in tunica neochic-massonica salva l’immagine della cantante francese, pronta a riproporla se sarà necessario in versione full color 4K. Sospira, con un’occhiata di sbieco ai componenti della privilegiata famigliola residente – padre cantante, madre influencer, figlioletto e figlioletta futuri-famosi – che giacciono nel soggiorno sui divani e sulla moquette green. Placidamente addormentati, probabilmente perplessi quando riprenderanno i sensi tra qualche ora. A quel punto Lei se ne sarà già andata senza lasciare tracce. Bello, l’attico minimal-sceiccobianco! Ma ormai lo ha già sfruttato a sufficienza come base di lavoro comoda e discreta, e finalmente all’altezza dei suoi standard. Proprio quello che le serviva, lì in zona… 

Fratello Pizzaltrancio ha fatto bene la sua parte, come nella vecchia barzelletta del Tu-dai-da-mangiare-alla-scimmia. Si è presentato con quattro porzioni di pizza (giustamente) al trancio, in qualità di comparsa per le riprese di uno spot per la nuova catena di pizzerie creata dalla mamma influencer. L’ordine di cibo ultragreen per tutta la famiglia era in ritardo, per un banale disguido (cui Lei non era estranea). Si erano quindi gettati tutti e quattro sulla pizza, farcita oltre al resto con un efficace narcotico.

Chiuso il portatile ultraleggero a schermo 16 pollici, Lei si dirige alla porta. E passando davanti allo specchio, non può fare a meno di dirsi (oltre al fatto che deve perdere un paio di chiletti) un convinto: «Brava Fratella!».

 

Ci sono livelli e Livelli. Di fronte a situazioni eccezionali, si può lasciar gestire la risposta delle logge a un gruppo che conta tra i suoi membri di spicco un Fratello Michetta? Come on! Stiamo scherzando? Al Vertice qualcuno ha storto il naso sotto il cappuccio all’idea che fosse una donna a occuparsene. Ma Lei ha dimostrato fin dalla sua ammissione qualche anno fa, facendosi un ass così e diventando quindi un vero e proprio asset per l’organizzazione, quanto valeva. E poi l’Italia non era una sede così ambita, perché non offrire a Sister Paternoster l’occasione di brillare, in questa faccenda di muri che piovono, si abbattono e rispuntano? Il caso e il caos: li avrebbe saputi governare? Ops, piccolo dettaglio, in italiano Sorella Paternoster puzzava troppo di suora (associata da molta gente alla sfiga), quindi era diventata Fratella Paternoster (il cinema, che mirabile fonte di spunti… grazie, Mel Brooks!).

A proposito di sfiga, alla presentazione del progetto e dell’ignaro archistar entusiasta garante e piazzista, qualcuno del Vertice aveva obiettato che un riferimento ad Atlantide quanto a sfiga non è che promettesse proprio bene. Ma Lei aveva facilmente obiettato che tra cultori del razionalismo scientifico, smemorati a furia di reset social e ignoranti patentati convinti che l’Atlantide sia l’opposto dell’Artide, non c’era alcun pericolo.

E infatti l’effetto era stato ottenuto. Grazie alla Sua immaginazione e alla bella faccia di quel tronfio architetto segaiolo e alle sue perorazioni più che fantastiche farlocche (c’era un altro aggettivo, do you remember?), ispirate da una serie di ricerche in rete fatte da Lei, da un generoso assegno e soprattutto dall’esca Vartan. Quale effetto? Il solito: bloccare tutto, in attesa di capire come cambiare tutto perché tutto rimanga com’è.

Il caso era – per ora – risolto. Il caos era – per ora – rinviato. Il Vertice avrebbe deciso rapidamente il da farsi. Le GMC avrebbero trovato la pappa pronta.

Salendo sull’elitaxi a guida automatica, Fratella Paternoster digita l’indirizzo sullo schermo touch.

Via Olmetto 1.

Alla richiesta “Vuoi memorizzare la destinazione?” digita un “NO”.

È tempo che l’avvocato Dei faccia la sua parte.

 

Intanto, in una cantina abbandonata della ex Chinatown

 

Zao ci ha pensato tutta la notte e gran parte della mattina. Poi si è deciso. Ha riempito di tè la borraccia termica con il marchio di una celebre influencer (“omaggio” di Nino) e si è diretto verso l’Altare. Seguendo le indicazioni di Whatskip, la nuova app per schivare i muri in tempo reale, è arrivato a destinazione.

Il vasto scantinato del palazzo di via Lomazzo è un labirinto di passati arrugginiti e polverosi. Zao entra in una delle ultime cantine, dopo aver aperto un po’ a fatica il lucchetto a combinazione, e l’Altare è lì, intatto a parte la polvere. Con la foto del venerabile zio Tao, faccia impassibile e barbetta sottile da vecchio saggio dei film di kungfu. Con molto riguardo, dopo essersi inchinato, Zao apre la valigetta a prova di tutto che un paio di anni prima era stata recapitata a suo padre, perché Zao la aprisse al compimento dei diciotto anni. Zao chiede scusa all’anima dello zio Tao – mittente del lascito – per la violazione, promettendo adeguata riparazione. Sfila il vecchio portatile nero dalla custodia e lo accende.

La batteria a lunga durata è ancora al 50%. Dopo qualche scricchiolio, il sistema operativo 窗户 Chuāng hù 19.5 si carica velocemente. È la versione cinese di Windows, molto migliorata e ottimizzata dal dipartimento tecnico della Casa Rossa – il nome che gli scrittori di spy story davano al Guoanbu, il servizio segreto di Pechino, di cui lo zio Tao era stato un alto funzionario.

Zao digita ZIODICIOTTOANNIZAO in cinese, in italiano e in inglese. Non funziona. Riprova con ZAODICIOTTOANNIZIO.

Fin troppo facile, ma negli ultimi tempi si mormorava in famiglia che lo zio Tao non fosse più lucido come una volta…

Forse era per quello che aveva lasciato nel computer destinato al nipote una serie di programmi sviluppati dal Guoanbu…

Il caos nella mente – un caso.

O forse no.

Zao tende l’orecchio. Nella cantina, l’unico rumore è lo zampettare dei topi. Brrrrr, che schifo…

Zao accende la saponetta wi-fi che si è portato dietro e collega il portatile alla rete. Non un fulmine, lì sotto, ma può bastare. Il suo unico obiettivo immediato è fare alcune ricerche sui link contenuti nella chiavetta sottratta all’Assessore da Nino. Link che il resto del gruppo ha bellamente ignorato.

Calcola di avere poco tempo, prima che alla sede centrale della Casa Rossa qualcuno si accorga che il computer di un defunto pezzo grosso del servizio è d’improvviso tornato in vita e dia disposizioni a qualche squadra operativa in Italia di andare a recuperarlo a tutti i costi, muri o non muri.

Se ci riesce, Zao è convinto di riuscire poi a craccare il sistema per rendersi invisibile in rete (una ragionevole fiducia in sé stessi è una della basi di una vita serena, diceva lo zio Tao, meglio ancora se abbinata a un altro ideogramma che, semplificando, significa “grosso culo”). Ma adesso bisogna rischiare.

Cercando, trova altre copie e versioni di foto, documenti e nomi già visti sulla chiavetta maledetta, poi un lungo link che porta dritto nel dark web.

Ci clicca sopra senza esitare.

Un video.

Le immagini sono poco nitide, l’audio è migliore.

Noi siamo il progetto @AtlantiDue…

 

Quarantacinque minuti più tardi, i tre cinesi in tuta blu da tecnico TV, auricolari e SIG silenziate non rintracciabili non rintracciano nessuno, nell’ultima cantina in fondo allo scantinato di via Lomazzo. Dalle impronte nella polvere, deducono che di lì è passato qualcuno di piccola statura. Quanto al PC del defunto colonnello Tao, è tornato nel regno delle ombre.

 

CONTINUA...  

 

ASPETTIAMO I VOSTRI SUGGERIMENTI ENTRO LE ORE 21 DI MERCOLEDÌ 13 SETTEMBRE!