CAPITOLO
4. Manomozza non avrai il mio scalpo
La
fabbrica diroccata languiva, al calar del sole, come una festa senza invitati.
Il
naviglio da quelle parti, giù dopo la chiusa del fiume Lambro, era magico nella
sua purezza, a confronto del Lambro che ribolliva di una schiuma giallognola
simile al pus.
Manomozza
aspettava quel disgraziato di un ortista ubriacone all’interno di quello che
anni prima era stato il suo ufficio e che non era riuscito a passare al figlio
Tommaso, per il calo improvviso delle vendite di pellicce di castorino.
Maledetti anni Novanta.
“Pa’,
ma quando arriva Antonio con le nutrie? Ho voglia di fare pratica” disse il
giovanotto, un trentenne dalle spalle spioventi agghindato come un hipster, ma
senza barba.
“Non
lo so, Tom, non lo so. Quello è puntuale come un orologio svizzero, ma solo
fino alle cinque del pomeriggio. Poi si attacca alla bottiglia del rosso e ti
saluto Ninetta!”
“Cazzo,
pa’, ma davvero qui era tutto nostro?”
“Sì,
Tom, sì. Quante volte te la devo raccontare questa storia? Tu avevi poco più di
un anno quando la nostra fabbrica di pellicce di castorino finì in malora. Era
un novembre di quelli di una volta, freddi e umidi da far spavento. La nebbia,
qui fuori sul piazzale dove ci sono i rimorchi dei camion, si tagliava con il
coltello. Per davvero però, non come adesso che voialtri fessacchiotti scambiate
per nebbia un paio di tubi di scappamento intasati” disse Manomozza massaggiandosi il moncherino.
Dannate
nutrie. Prima gli erano costate una mano, poi quando era riuscito a costruire
una solida fabbrica basata sulla sua sete di vendetta, si erano prese la briga
di passare di moda e di fare gli occhi dolci alle coscienze di quegli
smidollati animalisti e addio business, addio fabbrica e addio moglie. Solo Tom
gli era rimasto, perché lei aveva capito l’antifona ed era scappata a Zanzibar
dove le pellicce non servono a niente.
Maledette
nutrie, pensava.
La
casa delle bambole non era mai stata così viva come in quel momento.
Novantanove
nutrie, sei pupazzi di pezza, un trattore mezzo fradicio e alcuni orsi di
peluche scampati alle torture di un lunapark erano disposti a semicerchio e
ascoltavano con attenzione quello che Jake la nutria e Scolo avevano da dire.
Su un altissimo pino, all’interno di una di quelle ville borghesi di metà Ottocento,
che una volta ospitavano i signori di Milano in estate, quando da quelle parti
si veniva a prendere il fresco nella bella stagione, una cornacchia curiosa
assisteva alla scena.
Poco
dopo essere stati liberati dalla cornacchia, Jake e Scolo avevano convenuto che
due nutrie, per quanto intelligenti e di bella presenza, non potevano certo
avere la meglio su un uomo armato. Quando due nutrie armate di ironia e senso
dell’umorismo incontrano un monco con una pistola, le due nutrie sono due
nutrie morte e anche ironia e senso dell’umorismo non se la passano tanto bene.
Così
a Scolo venne l’idea delle idee. Dovevano richiamare tutte le loro sorelle
della Martesana, comprese quelle che erano arrivate da fuori territorio ed
erano state appoggiate proprio vicino all’accampamento degli umani in via Idro.
Gli umani erano stati cacciati da altri umani, le nutrie no.
Novantanove
giovani nutrie, tutte quelle in età da combattimento, erano state reclutate e
ora toccava a Jake arringarle e convincerle.
“Oh, pa’ ma com’è che hai fatto a perdere la mano?”
“Tom,
ma sei scemo o mangi i sassi? Ti ho detto un milione di volte che da bambino,
nei campi fuori Cassano, avevo visto una nutria che stava per finire sotto la
falciatrice del nonno e, per salvarla, mi sono buttato a terra proprio davanti
alle lame della macchina. La falciatrice si è presa la mia mano per sempre e
quella maledetta nutria se ne è andata via senza un graffio e senza
ringraziare.”
“No,
pa’, io intendevo quella finta. La protesi. Stamattina ce l’avevi ma adesso
no.”
“Ah.
Quella l’ho persa cercando di recuperare la nutria che tu hai buttato nel
naviglio con il sacchetto di plastica.”
“Eheheh.
Dài, pa’, fatti una risata. Volevo vedere chi aveva ucciso Nutria Palmer!”
“Coglione!
Il sacchetto di plastica era uno dei centomila della nostra ditta che avevo
fatto stampare in Polonia prima che fallissimo. C’è scritto sopra grosso così
il nostro indirizzo e il nome della fabbrica: ‘Ditta Muzio e figli – Pellicce
di castorino’.”
“Ah.”
“Bravo
pirla. È per questo che ho dovuto scaricare le altre appresso a quella. Magari
nel marasma di tutte quelle carcasse le autorità non si accorgeranno del nostro
sacchetto di plastica.”
“Cazzo
pa’, non posso crederci?”
“E
invece ci devi credere. Ho perso la mano finta e, visto che campiamo con il
pacco della parrocchia, non ho manco il grano per farmene una nuova.”
“No,
no, pa’, io dicevo che non ci posso credere che le pellicce di nutria andassero
di moda una volta, negli anni Novanta.”
“Invece
sì. A parte che te sei vestito come in quegli anni là, pezza più, pezza meno.
Anche alla Caritas si sono messi a battere le mode.”
“No,
pa’, io mi vesto vintage.”
“Sorelle
nutrie” cercò di squittire in modo convincente Jake la nutria “sorelle nutrie,
io Jake la nutria, figlio di Mike la nutria e nipote di Pike la nutria [Nota di
Jake: voi umani dovete sapere che noi
nutrie abbiamo l’abitudine di andare indietro fino al nonno paterno quando ci
presentiamo in contesti solenni] e Scolo [NdJ: Scolo ha origini chiacchieratissime ed è meglio non parlarne in
pubblico] vi abbiamo fatto convocare perché abbiamo delle notizie
importantissime da comunicarvi. Noi sappiamo dov’è asserragliato il vile umano
che ha fatto la carneficina.
Una
nutria, per l’esattezza Sam, figlio di Cam e nipote di Jafet [NdJ: lo so, anche a me sembrano nomi datati, ma in
fondo siamo roditori e dopo un po’ la fantasia svanisce…] disse: “E che
cosa ce ne dobbiamo fare di questa informazione? Dovremo starcene alla larga da
quella chiusa e salvare la ghirba!”
“No,
sorelle, dobbiamo vendicarci!”
“E
rischiare di finire come le altre, giù in Melchiorre Gioia!” rispose un coro di
nutrie per niente convinte che l’operazione vendetta fosse minimamente
considerabile.
Jake
la nutria non si perse d’animo. Strappò un braccio di plastica da un bambolotto
mezzo scassato e lo brandì come una spada.
“Signori,
vi ricordate della Castorina? La Grande Regina della Moda e delle Nutrie,
l’Annientatrice di allevamenti di castorino, la Nemesi dei pellicciai?”
Tutti
annuirono e si raccolsero in un attimo di religioso silenzio.
[NdJ: voi umani non conoscete il nostro
pantheon e soprattutto non sapete che per noi il tempo scorre in modo diverso
dal vostro. Un anno nutria è pari a quattordici dei vostri, quindi per noi i
fatti che vi sto per raccontare risalgono a un’era lontanissima. La Castorina,
la Piaga dei conciatori, l’Incubo dei tassidermisti, nel lontanissimo 1989
aveva guidato una sanguinosa ribellione contro le concerie della bassa
bergamasca e milanese, e le aveva costrette a chiudere i battenti facendo
fuggire tutte le nutrie imprigionate per le loro pellicce caldissime e a basso
costo. Le gesta della Castorina, il Flagello dei venditori di visoni farlocchi,
sono raccolte in un libro di saghe curato da Nutria Nutriasson, un grande poeta
del passato che abitava giù, verso l’ansa che la Martesana fa a Greco e che noi
chiamiamo il Fiordo di Greco. È una lettura che tutte le nonne nutrie fanno
alle nidiate di nipotini per forgiarne la vis pugnandi ed è un argomento di
grande effetto e di sicura presa.]
“Santa
Nutria, sorelle nutrie, noi abbiamo l’occasione di ripetere le sue gesta e di
mettere in pratica le cose che ci raccontavano le nonne nelle lunghe notti
invernali! La luna è alta in cielo, via Padova è silenziosa come una nutria
muta e nessuno potrà fermarci. La Grande Nutria si abbatterà su Manomozza, il
massacratore senza una mano che abita nella vecchia fabbrica giù dopo la chiusa
del Lambro.”
“Vendetta
– vendetta – vendetta – vendetta!” si misero a scandire le novantanove nutrie
gettandosi in massa nella Martesana e facendone vorticare le acque melmose e
solitamente placide.
La
cornacchia, curiosa, si alzò in volo e la sua ombra lunga sembrò disegnare un’enorme
silhouette alata sulla faccia della luna di via Padova.
“Sì,
ma pa’ quando iniziamo a dare la colpa del massacro delle nutrie a quelli di NoLo?”
“NoLo?
Ma che cazzo è NoLo? Nessuno si deve prendere il merito delle nostre gesta.”
“Ma
pa’, io ti ho aiutato solo per dare la colpa a quelli di NoLo che su Facebook
non mi hanno fatto entrare nel gruppo perché ho la residenza qui, a 5 metri
fuori del confine di NoLo...”
“Ma
che cazzo dici? NoLo non esiste, quindi il confine non esiste e anche i social
network non esistono. Tuo nonno ti avrebbe già sparato se non fosse morto di
crepacuore per il fallimento della ditta di famiglia. E comunque, imbecille,
potevi mettere un indirizzo farlocco e nessuno se ne sarebbe accorto. Te lo
butterei nel naviglio quel telefono maledetto.”
“Sì,
pa’, ma…”
“Zitto,
zitto. Non senti che casino viene dalla parte del naviglio? Vieni fuori,
andiamo a vedere che succede.”
Manomozza
e Tom uscirono nel cortile della vecchia fabbrica diroccata e vedendo
quell’orda di nutrie salire dagli argini del fiume sembrarono andare in mille
pezzi come i vetri delle finestre distrutte della loro conceria.
Manomozza
si mise a rantolare e come un pazzo furioso prese a sparare con la berta
arrugginita che usava per giustiziare le nutrie, seguito a ruota da Tom che
sforacchiava a destra e a sinistra quanti più roditori possibili. Lui non
gridava, anzi ridacchiava perché pensava che anche quelle nutrie sarebbero state
messe in conto al gruppo di NoLo su Facebook.
La
battaglia a colpi di incisivi e unghie non stava prendendo la piega che Scolo aveva illustrato a Jake la
Nutria. Scolo era stato perentorio e gli aveva disegnato un ipotetico scenario
di guerra sul retro di un cartone di Heineken dimenticato sulla ciclabile da
qualche peruviano ubriaco. Tutto era semplice. Centouno nutrie contro un uomo,
sebbene armato, erano praticamente invincibili. Scolo, sulla carta, aveva disposto
le nutrie a mo’ di mezzaluna per ricordare la Grande Nutria che le avrebbe
vendicate, ma non aveva fatto il conto con la variabile Fato. E il Fato dal
canto suo se l’era giocata da illusionista perché il fatto che Manomozza avesse
un figlio, armato anche lui per di più, faceva sì che le cose non andassero
granché bene per le nutrie.
Molti
compagni erano stati feriti e la tattica di accerchiamento si era presto
tramutata in una guerra di posizione, con le nutrie trincerate sugli argini che
dividevano il cortile dal naviglio e Manomozza e suo figlio nascosti dietro il
rimorchio arrugginito di un camion saccheggiato dai rottamai e dal tempo.
“Santa
Nutria, Scolo” disse Jake la nutria “ci vorrebbe un miracolo. Se lo spirito
della Castorina, la Regina del pret-à-porter ecologico, non ci viene a salvare
la coda, saremo cibo per i pescigatto in men che non si dica.”
Scolo
tirò su con il naso e si mise in bocca un mozzicone di quelle che gli umani
chiamano sigarette, poi scrutò il cielo in cerca dello spirito della Castorina
e improvvisamente la luna fu oscurata da un’ombra nera e gracchiante.
“Jake,
le tue preghiere sono state esaudite!”
“Cra-cra-craaaaaaaaa”
gracchiò la cornacchia curiosa indicando con l’ala Manomozza e suo figlio,
infrattati dietro al camion “sganciate tutto l’arsenale e aiutate le nutrie.
Quei due sono quelli che ci sparavano al parco della Martesana.”
L’aviazione
delle cornacchie scagazzò inesorabilmente su Manomozza e Tom, imbrattandogli
gli occhi di guano acido e fetente, così da impedire loro di vedere quello a
cui sparavano, e li costrinse a battere in ritirata. Le nutrie guidate da Jake
li circondarono e li spinsero nella Martesana, poi la corrente li trascinò fino
a quando nei pressi di Villa Pallavicini una pattuglia di due Vigili Urbani in
bicicletta li tirò fuori e li arrestò per quel bagno fuori stagione.
Il
resto è storia.
Scolo
iniziò una relazione platonica, ma molto molto alcolica con la cornacchia
curiosa.
Manomozza
finì in galera insieme ad Antonio e Carmelo per reati ambientali e crudeltà
contro gli animali.
Tom,
dopo qualche mese di gattabuia, finì in un posto che per lui era peggio della
galera. Fu infatti inserito in un programma di recupero per detenuti che
lavoravano via internet per grandi aziende informatiche. A lui toccò gestire
gli algoritmi della pagina di NoLo per conto di Facebook Inc.
Luca,
che si era tanto allarmato per l’assenza di Bob (vi ricordate?), si era messo a
bighellonare per la ciclabile sulla Martesana in cerca del suo amico e giunto
verso via Idro, con la speranza sotto i tacchi, era stato spaventato dallo
stormo nero di cornacchie che si
dirigeva giù, dopo la chiusa del Lambro. Insospettito si era messo a correre in
quella direzione, ma essendo un umano si era perso tutta la battaglia e aveva
incontrato Bob che si scrollava la pelliccia sul bordo del naviglio. Aveva
creduto che fosse caduto in acqua e che avesse freddo, così lo aveva preso in
braccio e lo aveva avvolto nella sua giacca a vento di una società di calcio
della zona. Poi erano tornati a casa.
Jake
la Nutria, invece, vabbe’… Ve lo racconta lui.
Luca
mi è venuto a cercare, ma siccome è lento di gambe oltre che di comprendonio non
ha visto nemmeno mezzo secondo della nostra battaglia campale. Così, per non
farlo preoccupare troppo, mi sono fatto prendere in braccio e l’ho riportato a
casa, sotto al ponte della ferrovia fra Greco e via Sammartini. È lì che vive
lui e che ci siamo conosciuti…
FINE
Termina così la fantasmagorica StraStoria di Jake la Nutria scritta da Besola/Ferrari/Gallone - R/A/F. Ma non è detto che le sue avventure finiscano qui... 😉 Continuate a seguirci qui e su www.strastorie.it!
StraStorie – Gialla è la città Edition per BookCity Milano
17-18-19 novembre 2017
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Con Riccardo Besola, Andrea B. Ferrari e Francesco Gallone
In collaborazione con Ladra di Libri - Covo della Ladra
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Contributo video di Carmen Pellegrinelli
Musica di Alessandro Arbuzzi
Dal vivo allo Spazio Ligera, via Padova 133 Milano
e sul web: www.strastorie.it, facebook.com/strastorie
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Guendalina Ravazzoni, Gialla è la città |