martedì 6 novembre 2018

La terza puntata di StraStorie Audio Edition

La terza puntata di StraStorie Audio Edition è arrivata. Buona lettura e via agli spunti per il finale del racconto di Francesco Gungui: scrivete con noi!

"Non è tutto qui" di Francesco Gungui – terza puntata

Illustrazione di Guendalina Ravazzoni


Ho sei anni e sto camminando in un bosco. È buio, il mio campo visivo è una sfera di penombra che lascia intravedere solo i grandi fusti degli alberi. Avanzo lentamente su un tappeto di foglie bagnate. 
Il ricordo mi scorre nella mente come la scena di un film di cui sono spettatrice e osservo una bambina che sono io solo in parte: indossa un impermeabile giallo e stivali rosa, sorride con un misto di curiosità e fiducia. Nonostante la notte, il buio, il bosco, sembra che sappia dove andare.
Mi avvicino a un albero, ne accarezzo il tronco, lo abbraccio. È ruvido e caldo. Poi sento delle urla, mi volto, un uomo e una donna mi corrono incontro, un’espressione di vera angoscia dipinta sul volto. Lei mi abbraccia, mi stringe forte, mormora “Non ti trovavamo più...”, sussurra tra i singhiozzi: “Come stai? Stai bene? Ti è successo qualcosa?”.
Il ricordo si dissolve mentre sono ancora sul portone del palazzo della medium, davanti a Marco che mi fissa attonito. Mi sembra di percepire ancora il profumo delle foglie secche bagnate, i contorni sfocati delle immagini di quel ricordo dimenticato.
“Valeria, mi parli per favore?” mi chiede Marco con insistenza. “Cos’è successo? Cosa ti ha detto?”
Le parole della medium riaffiorano tra i miei pensieri, sovrapponendosi tra loro.

Ciò che conforta questa visione del futuro deriva inoltre da un’altra fondamentale circostanza della quale la donna è consapevole e che la spingerà, in tempi brevi, a interrompere una relazione che pure in questi mesi è stata molto significativa… Ed è proprio l’esperienza gratificante di questo sentimento materno che la indurrà a fare una scelta molto forte, a tratti dolorosa, per via del sacrificio che comporta, ma della quale, e questo lo posso dire con certezza, sarà poi pienamente soddisfatta.

Guardo Marco e mi sembra uno sconosciuto, poi sento un’improvvisa emicrania, come se una parte del mio cervello si stesse fisicamente spostando, o ruotando su se stessa. Chiudo gli occhi e serro le labbra, per trattenere un gemito di dolore.
“Ma stai bene? Valeria, per favore, mi dici cosa ti ha detto?”
Trascorrono solo pochi secondi e poi accade: la tensione, il dolore, la confusione, scompaiono per lasciare spazio a una quiete profonda e immotivata.
“Mi ha detto questo, Marco. Che tu non sei veramente innamorato di me, che in me hai visto solo una strada imperfetta perché così non ti fa paura. Perché una donna sposata, con un figlio, ti lascia libero di non realizzare davvero quell’ideale religioso che ti sei imposto.”
“Ma quale ideale? Di che stai parlando? Ascolta, Don Pietro mi aveva raccontato che quando le persone escono di qui, dopo che hanno parlato con la medium, a volte sono un po’ confuse, hanno bisogno di tempo per capire bene…”
“Tu hai sempre detto di sentirti in colpa” lo interrompo “perché la tua religione vieterebbe quello che tu stai facendo. Giusto?”
“Sì, ma che c’entra?”
“E allora perché proprio io? Perché tra tutte le donne hai scelto me?”
Marco scuote la testa, ha gli occhi lucidi. “Io mi sono innamorato di te. Non ti ho scelta. Ma poi non capisco, queste cose te le ha dette lei o le pensi tu?”
Esito prima di rispondere, prendo un lungo respiro e per un istante mi sento ancora come la bambina che cammina nel bosco, in una sfera di penombra che però ora include anche Marco, permettendomi di vedere qualcosa dentro di lui, qualcosa che ho sempre sospettato, intuito e puntualmente rifiutato.
Una nuova fitta di mal di testa mi costringe a chiudere gli occhi. Il mio cervello, una qualche parte del mio cervello, sta ruotando, scivolando su invisibili cardini arrugginiti. Vedo immagini del mio passato, mia nonna, la vecchia casa a Prome, le passeggiate sulle rive dell’Irrawaddy.
“Lo vedi? Lo vedi anche tu?” mi chiedeva nelle lunghe estati che trascorrevo con lei.
Di cosa parlava? Ora non saprei dirlo. Ma annuivo.
E poi mia madre e mio padre, le fronti corrugate, lo sguardo basso, ricordi senza parole che sono sempre stati nella mia mente, ma che solo ora assumono un significato. Le candele sul davanzale della finestra, in mezzo ai fiori, le foto sbiadite dei nostri avi. Le stesse che ho ancora a casa mia, nella bella libreria in ciliegio, dietro alle candele spente.
“Scusa, ora devo andare via” dico a Marco e mi avvio lungo il marciapiede, ma lui mi trattiene per un polso. Mi guarda con aria supplice. Non posso fare niente per lui, non adesso. E quando la sua stretta si scioglie, mi sento come un ramo a lungo incastrato tra le rocce di un fiume che viene trasportato via dalle rapide.
Sulla strada di casa, lascio che la vita, quella normale, quella quotidiana, quella semplice, quella che si può spiegare con poche parole, si affacci di nuovo alla mia mente cosciente. E così accendo il cellulare, vedo la chiamata persa di Fabio, i messaggi del gruppo WhatsApp delle mie amiche che propongono un aperitivo senza mariti settimana prossima, altri messaggi di una chat di mamme della scuola che non leggo, una foto di mia madre dal ritiro di meditazione buddhista in Umbria dov’è andata la settimana scorsa.
Eccola lì, la mia vita, penso. Ma non è tutto qui, mi dico. E lo so, l’ho sempre saputo. Per qualche ragione, a un certo punto, l’ho dimenticato. Ma la ricordo bene la magia, le scie luminose intorno a mia nonna, quelle parole sussurrate da voci profonde dentro di me.
“Chi è?” chiedevo e mia nonna sorrideva.
“Sei tu, angelo mio, sei sempre tu.”
“Ma chi dice quelle cose?” chiedevo.
“Sei sempre tu, ma non tu bambina. Non siamo semplicemente quello che siamo. Non è tutto qui.”
Entro in casa e vado dritta in sala dove, su uno scaffale, in un angolo, nascosto tra libri impolverati, c’è il piccolo altare che ho conservato, ricordo di mia nonna: tre foto dei suoi genitori, un cofanetto di legno, dove lei teneva l’incenso, e i fiori, quelli li ho messi io, anni fa, e ora sono solo petali secchi dai colori sbiaditi.
Mi guardo intorno, come se dovessi riprendere le misure di questa casa che adesso mi sembra vuota. Non c’è l’ampio salone con i divani costosi che abbiamo deciso di comprare quando Nicolò ha compiuto sei anni e dopo aver capito che non avremmo fatto un secondo figlio. Non c’è la cucina a isola, vezzo borghese che mi sono concessa, nonostante non ci fosse abbastanza spazio e così la grande isola occupa praticamente metà stanza, non c’è il terrazzo che affaccia sui tetti delle case di ringhiera suggerendo gli agi e le comodità di una famiglia come tante altre.
Controllo l’ora sull’orologio del forno. È mezzogiorno passato. Esco di casa e vado dritta a scuola di Nicolò. La custode all’ingresso mi guarda con sospetto. “Devo prendere mio figlio, deve uscire prima” dico.
Pochi minuti dopo sto camminando, mano nella mano con Nicolò, in mezzo al parco.
“Perché sei venuta a prendermi in anticipo?” mi chiede.
“Così, avevo voglia di parlare con te.”
Costeggiamo il laghetto al centro del parco, accompagnati da una famiglia di anatroccoli.
“Posso non andare più a scuola?” mi chiede alzando la testa verso di me.
Sorrido in silenzio. Ormai è quasi un piccolo rituale tra noi. Nicolò conosce già la mia risposta e sa che il mio sorriso equivale a un no.
Però stavolta è diverso. “Perché?” gli chiedo, e mi rendo conto che non gli avevo mai fatto questa domanda o, almeno, non avevo mai davvero indagato con lui accettando l’idea che potesse avere delle ottime ragioni.
Mi guarda stupito. “Perché non imparo niente.”
“Stai imparando a leggere e a scrivere, no?”
“Sì. Ma non è quello che voglio imparare. Io voglio imparare a volare. Come faccio quando sogno.”
“Be’, sì, quello a scuola non te lo insegnano. E voli spesso di notte?”
“Sì, ma non solo di notte. Anche di giorno.”
“E come si fa?”
“Devi chiudere gli occhi e aspettare un po’. Ma non funziona sempre.”
“E quando funziona, che cosa succede?”
“A volte voli e basta, tipo in cielo. Altre volte poi arrivi in dei posti.”
“E sono posti che conosci?”
Ride, come se avessi detto un’ovvia sciocchezza. “No, non li puoi conoscere. Perché sono posti lontani. Altrimenti uno ci andrebbe a piedi.”
“In che senso?”
Mi guarda pensieroso, con un’espressione serissima. “Non lo so. Tu non voli mai?”
“Dipende, a volte forse, con l’immaginazione.”
“Cosa vuol dire?”
“Che immagino dei luoghi, delle persone, un po’ come quando si fanno i sogni.”
“Eh, è così, anche per me.”
Ci fermiamo e ci sediamo su una panchina sotto un salice piangente. Le parole della medium risuonano nella mia testa.

Il figlio ha un dono, e la scelta del termine è voluta, che gli deriva da più vite precedenti nelle quali, pur non avendo mai conquistato la fama e la notorietà, che per altro non desidera e non ha mai desiderato, ha avuto modo di aiutare tante persone, fisicamente, salvando molte vite, e poi, in ere più recenti, spiritualmente… Si lasci dunque guidare dallo spirito antico del figlio e, soprattutto, lo conduca il più spesso possibile in mezzo alla natura. Sarà sorpresa di notare come in quel contesto le visioni del bambino appariranno chiare e precise.

All’improvviso mi pare di percepire un bagliore, davanti o intorno a noi, non so dirlo. È come un’aura luminosa colorata che ci avvolge. Un profondo respiro mi scava nel petto e mi sento inondata da una sensazione di pace. Nicolò alza lo sguardo verso il cielo e sorride.
“Lo vedi?” gli chiedo titubante. “L’hai visto?”
Lui annuisce. Nel tono delle mie domande riconosco la voce di mia nonna. E mi ricordo che c’era anche lei in quel bosco, il giorno in cui mi ero persa e i miei genitori non mi trovavano. Fu quella la prima volta che uscimmo dai nostri corpi. Fu quello il giorno del primo incontro.

***
 
ADESSO TOCCA A VOI: VIA AI SUGGERIMENTI PER IL FINALE DEL RACCONTO!
Potete inviare i vostri spunti a Francesco su come continuare il suo racconto entro le ore 24 dell'11 novembre 2018, commentando questo post, su www.strastorie.it o via mail a strastorie@gmail.com.

Audible Academy presenta
▬ StraStorie Audio Edition ▬
Una storia tutta da ascoltare
Un racconto scritto con i lettori

Con Francesco Gungui
Conduce Oliviero Ponte Di Pino
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Versione audio a cura di Oliviero Ponte Di Pino e Valeria Ravera
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
In collaborazione con Fonderia Mercury
nell'ambito di BookCity Milano
Ospiti: Alessandro Beretta, Piero Colaprico, Carmen Covito

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QUI TROVATE L'INCIPIT https://www.facebook.com/strastorie/posts/2030686083628645:0
QUI LA SECONDA PUNTATA: https://www.facebook.com/strastorie/posts/2049874575043129
https://www.facebook.com/events/252113998829228/ www.strastorie.it

6 commenti:

  1. Durante il terzo incontro di StraStorie Audio Edition, Carmen Covito ha osservato che a questo punto Francesco Gungui si trova davanti a un bivio: sterzare decisamente su un versante fantastico, oppure concentrarsi sulla psicologia della protagonista. Lei lascerebbe un po' di indeterminatezza, ma giocherebbe molto sulla psicologia perché ritiene che non sia tanto importante sapere davvero se – come si dice nel finale della terza puntata – ci sia la possibilità di volare con la mente, ma il fatto che la protagonista e il suo bambino credano di poterlo fare e in questo trovino un canale di relazione. A questo punto, però, Carmen domanda: come gestire la figura del marito, presentato come estremamente razionale e poco incline a comprendere l'ipersensibilità di suo figlio?

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  2. Ecco lo spunto dato a Francesco Gungui da Sofia Corben nel terzo incontro dal vivo. Sofia si immagina che in questa dimensione delicata ed emotiva, in cui il maschile è sostanzialmente assente, irrompa il marito e complichi ulteriormente la situazione, inventandosi qualcosa di malvagio e cercando di far cassa con il dono del figlio.

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  3. Ecco lo spunto dato a Francesco Gungui da Francesco Gallone nel terzo incontro dal vivo. Secondo Francesco, Valeria e Nicolò in realtà potrebbero non vedere niente. Potrebbe essere qualcosa che si immaginano loro, e magari non hanno neppure visto la stessa cosa, però la condividono e se la raccontano come se avessero visto la stessa cosa. E, da personaggio sostanzialmente negativo, il padre si trasforma in una sorta di custode del figlio e cerca di proteggerlo dalle stramberie della moglie, che assume sostanze stupefacenti e le fa assumere anche al figlio.

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  4. Lo vedi anche tu. Sì lo vedo anch'io. È una luce che si apre davanti a noi. Ora ricordo meglio il bosco la notte i miei genitori la nonna che già aveva capito tutto. La citazione dei miei genitori la gioia del ritrovamento. Ma qualcosa di più. Mia nonna stava in disparte e mi fissava. Anzi fissava le mie mani. Erano insanguinate. Ora vedo tutto chiaramente. Come se si fosse aperta una finestra nella mia mente. ora ricordo tutto. In quella notte buia e umida, con la luna alta in cielo, avevo fatto qualcosa che non si può fare. Contro natura. Per quel motivo le mie mani erano insanguinate. Ero uscita dal mio corpo e vagavo per il bosco ma quella cosa era davvero successa. Ora ricordo

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  5. Ecco lo spunto postato da Laura su Facebook:
    “Dottore, sta cominciando a reagire, guardi, si muove, anche gl’occhi cominciano a muoversi”.
    “Signora, signora, Valeria, apra gl’occhi, mi sente?”
    Valeria muove leggermente il capo, un movimento quasi impercettibile, ma il medico e l’infermiera capiscono che ormai la paziente reagisce, che può sentirli.
    Valeria vorrebbe parlare, apre la bocca, è secca, l’infermiera le avvicina un bicchiere d’acqua, le bagna le labbra.
    Con un filo di voce Valeria chiede dove si trova, chi è quella gente intorno a lei che non conosce? Solo un mazzo di fiori sul comodino le risulta familiare, gigli ….
    “Valeria stia tranquilla, adesso è qui con noi, si trova all’ospedale policlinico di Milano, ha avuto una ricaduta, io sono il suo nuovo psichiatra, mi chiamo Marco De Marchi e questa è Giovanna, l’infermiera.
    “Resterà con noi qualche giorno in attesa che la nuova terapia faccia effetto, poi decideremo cosa fare. La lascio un momento con Giovanna, io vado a parlare un momento con suo marito che è qua fuori”.
    In corridoio c’era Fabio, aspettava, faccia tesa, espressione cupa. I corridoi degli ospedali psichiatrici sono dei posti sconvolgenti, il dolore umano è cosí sfacciato che scalfisce qualsiasi protezione. Non si può dire che Fabio fosse abituato, a quei posti non ci si abitua mai, ma almeno conosceva bene quel reparto e persino qualche paziente con cui aveva scambiato qualche parola.
    “Dottor De Marchi, allora? Come sta Valeria?”
    “Venga, mi segua nel mio ufficio che le spiego. Valeria ha reagito, si è svegliata, risponde agli stimoli della voce, la terremo qui qualche giorno per cominciare una nuova terapia. Da quanti giorni è cominciata la crisi?”

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  6. Mi rendo conto che ho passato la vita a seppellire questo ricordo, a dimenticare chi ero e chi sono. Ma ora c’è Nicolò a riportarmi a me stessa, a dirmi che non c’è niente da temere. E se incontrare il nostro riflesso dentro lo specchio, il doppio che da sempre vive in una dimensione parallela, spaventa, stavolta non avrò paura. Parlerò con Fabio, gli racconterò chi sono, e chi è nostro figlio. E gli chiederò di volare con noi.
    Paola

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