giovedì 29 giugno 2017

CAPITOLO 4. Chiù forte 'e me di Gino Cervi

La Giulietta è ripartita. Ancora una volta sgomma via nervosa sulla curva in fondo al vialetto del cimitero. A indicare la direzione il gallo segnavento che cigola in cima al piccolo campanile della cappella del cimitero di Pradamano. Buttrio, Manzano, San Giovanni al Natisone. La Giulietta corre via verso est. La Jugoslavia è a mezz'ora di strada. Un confine dietro cui si può sparire. Far sparire due vite arrivate a un bivio, o forse in fondo.
Il maresciallo Jovine ha raccontato e ha chiesto di raccontare. Toni Bacchetti ha ascoltato e tra un colpo di tosse e l'altro ha annuito.
Trent'anni prima, aveva gambe buone per la montagna. Ora le sue gambe sono una Giulietta dei carabinieri e un maresciallo impazzito. Impazzito di dolore, come la sua Mariù impazzita di ricordi mai sotterrati abbastanza.
I primi anni Pasquale era stato la sua cura, il suo medicamento, il suo oblio. Poi col tempo gli incubi erano tornati, sempre più incalzanti, sempre più orribili. Pasquale non bastava più. Non bastavano più le sagre e le balere, le pergole d'estate, il caldo delle osterie d'inverno. Non bastavano gli abbracci da togliere il respiro, amarsi senza risparmio, perdersi l'uno dentro l'altro. I bambini che non erano mai arrivati avevano tutti la faccia dei fratellini di Mariù.

Il maresciallo racconta senza fermarsi, cambiando a scatti le marce alla Giulietta sulla strada che saliva per il Collio, tra le vigne ancora tenere e senza foglie. Cormons, il bosco della Plessiva.
A una frasca di Zegla, davanti a due tajut di tocaj, Jovine Pasquale confessa:
“Sono stato io. Mariù ci aveva provato già altre volte, tante volte. Non so come ma l'avevo sempre fermata in tempo. Ma negli ultimi mesi la sua voglia di farla finita era diventata chiù forte 'e me. Non ce la facevo più. Mi hanno obbligato a ricoverarla in un ospedale psichiatrico. Avevo sempre detto di no, ma alla fine ho ceduto. Dapprincipio sembrava che stesse un po' meglio. Mi sorrideva quando mi vedeva arrivare. Passavamo ore a tenerci la mano, in silenzio. Poi lei mi diceva: 'Adesso va, torna a casa'. Me l'ha detto anche l'ultima volta, sorridendomi. 'Ci vediamo domani. Vai, ora è tardi. Sto meglio adesso'. Mi han chiamato la mattina. Avevano trovato la finestra aperta. Lei era finita di sotto. Senza un grido.”

Bacchetti tossisce, senza riuscire a parlare.
“Adesso capisci, caro 'O Cammello, perché non me ne frega più niente? E per me tu puoi anche andartene via, tu che almeno giustizia te la sei fatta a modo tuo. E hai saputo mettere un punto alla tua vita.”
Bacchetti guarda il maresciallo e si chiede dove vuole arrivare.
“Laggiù a duecento metri ci sta il confine. Dall'altra parte si ricomincia, forse. O almeno ci proviamo. Sarà come un gioco. Io sono pronto. Tu che fai, Bacchetti: giochi? dice Jovine Pasquale, togliendosi la giacca della divisa.

La Giulietta ha davanti a sé il posto di frontiera. Plessiva/Plešivo. C'è una casetta di legno, e una sbarra bianca e rossa. Due guardie stanno chiacchierando. Si voltano quando sentono un motore rombare. Non fanno quasi in tempo ad accorgersi che la Giulietta, una Giulietta dei carabinieri, gli è quasi addosso. Si tirano da parte atterriti mentre il muso della macchina lanciata sfonda la sbarra. Uno delle due guardie ha la prontezza di imbracciare la pistola, prendere la mira e sparare. La Giulietta sbanda. Poi esce di strada, sfondando un guard-rail in un gran frastuono di ferro e di alberi schiantati.

Corre Bacchetti, corre come non correva da quando giocava al Vomero. Corre e urla che non si capisce cosa.
Le due guardie si voltano e lo vedono arrivare senza fiato, piegato in due dalla tosse.
“No, maresciallo. No se gioca cussì!”.
Poi riprende a tossire.
FINE
 
Guendalina Ravazzoni, "Tiro e segno"

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Un progetto di Valeria Ravera
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Musiche di Alessandro Arbuzzi
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Diretta streaming a cura della Ladra di Libri
Supporto tecnico Giorgio Paolo Albani

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