mercoledì 31 maggio 2023

Il capitolo di Mauro Biagini di StraStorie Metropolis Edition

Capitolo 5

Un altro mattone nel muro

 

"Non aprire quella porta", illustrazione di GAL e basta

 

Rainbow District, sabato, ore 17.20

Sotto un cielo terso che sembra dipinto su maiolica, via Lecco si prepara a celebrare il rito del sabato sera. La misteriosa apparizione dei muri sta suscitando un crescente sgomento in città. Molti hanno deciso di abbandonare Milano per non restare intrappolati come criceti in gabbia. Le stazioni ferroviarie sono state prese d’assalto fin dalle prime ore dell’alba come non accadeva dai tempi del primo lockdown.

Eppure in via Lecco si respira un’aria di rassicurante tranquillità. I suoi frequentatori abituali non hanno paura: sono convinti di avere abbattuto muri di gran lunga più invalicabili nella vita.

È ancora presto per gli aperitivi. I marciapiedi sono semideserti, ma a breve saranno gremiti come sempre.

I camerieri dei locali sono intenti a far planare sui tavoli dei dehors tanti mattoncini Lego dipinti con i colori dell’arcobaleno. Serviranno a trasformare la serata, e poi la notte intera, in un grande happening collettivo.

Intanto, da via Lazzaro Palazzi, spunta una turista asiatica. Vestita di bianco, avanza a piccoli passi lasciandosi alle spalle la chiesetta del Lazzaretto. Con una mano regge un ombrellino per ripararsi dal sole. Con l’altra stringe uno smartphone, gli occhi puntati su Google Maps.

Costeggia il bar Addis Abeba, il Red Cafè, il Candies, il centro massaggi thai, il negozio di abbigliamento sportivo e fetish e, all’angolo con via Panfilo Castaldi, urta un passante che incrocia nel suo peregrinare.

È un uomo con addosso un logoro completo grigio di taglio sartoriale e un cappello di feltro bisunto che gli conferiscono l’aspetto di un agente dell’FBI espulso dai ranghi o di un nobile decaduto. Lo scontro li fa ritrovare quasi abbracciati l’uno all’altra. La turista asiatica balbetta qualcosa d’incomprensibile. Forse si sta scusando nella sua lingua madre.

Subito dopo alza lo sguardo e, le labbra atteggiate a un timido sorriso, domanda in un inglese incerto: «Excuse me, sir. Is there a wall to visit in Porta Venezia?»

L’uomo accenna una smorfia. Il suo viso emaciato pare una maschera senza età.

«This is the Rainbow District, not Porta Venezia» la corregge impassibile. «And we don’t have any walls here!»

Poi si spolvera la giacca con la punta delle dita, gira i tacchi e varca la soglia del Mono, il bar che ha dato origine a tutto il giro Lgbtqi+ in quello spicchio di Milano.

Sulla porta è appesa la locandina dell’evento che lo vedrà protagonista, sormontata da un titolo con caratteri tipografici psichedelici: “I muri sono uno stato della mente”. Sotto campeggiano una fotografia che lo ritrae nel deserto, in groppa a un cammello e il suo nome: Ray Lights.

All’interno del locale, tra pareti optical e dettagli vintage, risuona a tutto volume la musica dei Pink Floyd.

La fauna degli avventori è variegata: dall’attivista gay di mezza età al giovane intellettuale di sinistra con gli occhialini rotondi, dalla transessuale militante a una nutrita schiera di genderqueer. Tutti impazienti di ascoltare le parole del guru della cultura underground contemporanea. Il suo bestseller mondiale Diario di un maturo consumatore di LSD l’ha consacrato come l’erede di William Burroughs, padre spirituale della beat generation. Hanno in comune carisma e principi ispiratori: la libera sessualità e l’apologia dell’uso delle sostanze stupefacenti come strumento per riscattarsi dalla schiavitù della razionalità estrema.

Ray Lights non ha esitato – una volta appreso dell’inspiegabile fenomeno che funesta Milano – a prendere il primo volo disponibile da New York per sostenere la sua battaglia: negare l’esistenza dei muri.

Maurizio, uno dei due proprietari, lo accoglie cordiale.

«Maestro, we are very proud to welcome you!»

Mister Lights non fa una piega. Nulla pare sfiorarlo.

«Do you want something to drink?» gli domanda Davide, l’altro proprietario.

Mister Lights non risponde. Afferra il microfono appoggiato sul bancone e si accomoda sulla poltrona a lui riservata al centro del locale, mentre il dj alla consolle si preoccupa di sfumare la canzone dei Pink Floyd: "Hey, teacher, leave them kids alone / All in all it’s just another brick in the wall / All in all you’re just another brick in the wall".

 

Via Olmetto 1, ore 17.45

 

Un grappino tira l’altro nel bar di Chen e Teresio Dei fa rientro a casa un po’ malfermo sulle gambe. La telefonata dell’Assessore tarda ad arrivare e l’avvocato, disteso sul divano in velluto rosso del soggiorno, teme potrebbe assopirsi da un momento all’altro.

Il piano che gli ronza in mente per salvare capra e cavoli richiede la massima concentrazione. Non può certo permettersi di scivolare nel sonno. Gli si prospettano giornate impegnative – funestate per di più da quell’improvvisa apparizione dei muri in città – e occorre essere più vigili di un ghisa.

Teresio, fa ballaa l’ouecc!” si raccomanda col pensiero, ma il senso di torpore che lo attanaglia non lo abbandona.  

Così, a un tratto, gli viene un’idea. Perché non ricorrere per una volta all’aiutino di quella sostanza che i grandi manager o la gente dello spettacolo consumano per essere sempre al top? Un’idea balzana, non c’è dubbio. Ma in certe situazioni tutto è lecito pur di trarsi d’impaccio.

Ricorda che nella sua lunga esperienza di “economia del baratto” gli è già capitato di ricevere della cocaina come compenso da un cliente.

Uno spacciatore di mezza tacca gli aveva allungato una bustina proprio nell’aula del tribunale dopo un’udienza.

"Questa essere parcella per te, avvocato" gli aveva bisbigliato in un orecchio.

Ma và a dà via i ciapp! Te se propri un pirla” aveva pensato Dei, incerto se ridere o piangere. Frattanto, però, la bustina era già al riparo da occhi indiscreti nella tasca dei suoi pantaloni.

Quella stessa sera, messa da parte ogni remora, aveva deciso di sperimentare il suo primo tiro per curiosità, disponendo con cura la polvere bianca sul tavolo della cucina. Finché uno starnuto improvviso aveva mandato tutto all’aria.

È arrivato il momento di riprovare. Per rifornirsi a buon mercato non resta che rivolgersi ai piccoli spacciatori dei Bastioni di Porta Venezia.

Teresio Dei esce in tutta fretta di casa. Meglio spostarsi in metropolitana e non rimettersi in sella alla bicicletta. Anche se riuscisse ad arrivare a destinazione – muri permettendo – il suo gioiellino su due ruote potrebbe fare una brutta fine in una zona popolata da mille ladruncoli.

Nel vagone tiene lo sguardo fisso sul finestrino. Chissà mai che anche qui sui binari non si scoprano barriere erette nottetempo.

Tre fermate e i colori dell’arcobaleno dipinti sulla parete segnalano l’arrivo alla stazione di Porta Venezia. L’avvocato scende dal vagone, imbocca le scale mobili e riemerge in superficie.

In piazza Oberdan bivaccano ubriachi che farneticano di politica e di mattoni. Li scavalca, attraversa la strada e sale di gran lena sui Bastioni.

In lontananza intravede un chioschetto da cui proviene musica reggae. Si lustra gli occhiali con un lembo della camicia e mette a fuoco la scritta in stampatello su un grande cartone che fa da insegna: “Bar Tramezzo”.

Accelera il passo. Un muretto di tramezzini al tonno eretto da un artista misterioso funge da bancone. Dietro ci sono tre camerieri improvvisati dall’aria losca. Hanno forse messo su una nuova attività, approfittando del complice benestare delle forze dell’ordine?

«Ciao, zio» lo accoglie quello che deve essere il capo con un sorriso a trentasei denti.

«Ma che cos’è tutto questo ambaradàn?» domanda curioso l’avvocato guardandosi intorno.

«Nuovo business, zio. Compri tre bustine e prendi tramezzino in omaggio.»

Teresio Dei non batte ciglio. È abituato all’ingegno e alle stramberie della più varia umanità.

Però quei tramezzini sembrano marci. Anche se avverte un certo languorino allo stomaco non li assaggerebbe nemmeno sotto tortura. Così acquista la sua bustina di coca e si allontana. E mentre scende la scalinata che conduce in via Lecco pensa compiaciuto che nella vita non è mai troppo tardi per fare nuove esperienze.

 

Mono Bar, ore 18.35

 

È trascorsa più di un’ora da quando Ray Lights ha preso la parola. Ha spaziato liberamente dalla siepe di Leopardi al muro con i cocci di bottiglia di Montale, dalle teorie psicoanalitiche di Freud allo stipo antropomorfico di Salvador Dalí, dalla morte dell’ego e la libertà estatica di Timothy Leary fino ad arrivare alla rivolta di Stonewall. Tutto in inglese americano con il suo forte accento del Midwest.

La fine dello sproloquio sembra non arrivare mai. Chi ronfa abbandonato sulla sedia, chi finge di essere interessato mentre con la coda dell’occhio continua a guardare l’orologio, chi attende solo il momento di avere il sigillo di una firma autografa su una copia del libro.

A un tratto fa il suo ingresso nel locale un uomo cha ha tutta l’aria di essere capitato lì per caso. È Teresio Dei.

Intuisce di essere piombato nel bel mezzo di una conferenza e per non disturbare si avvicina al bancone in punta di piedi.

«Per favore, dov’è la toilette?» domanda con un filo di esitazione.

Uno dei due proprietari, con l’indice sul naso come a esortarlo a muoversi con discrezione, gli fa un cenno con il capo verso un angolo alla sua destra.

L’avvocato, districandosi a fatica tra il pubblico, riesce a raggiungere la porta bianca. Finalmente un luogo sicuro e riparato dove assaggiare la cocaina. Con i tempi che corrono non si stupirebbe se lo avessero fregato con una bustina di borotalco. Nel caso non esiterebbe un istante a tornare sui Bastioni per riavere indietro i suoi soldi.

Quando abbassa la maniglia e tira verso di sé la porta, prorompe in un urlo che si propaga in tutto il locale.

«Ma qui c’è un muro!»

Tutti si alzano in piedi – in fondo non aspettavano altro che un pretesto – e si precipitano verso la toilette. Solo Ray Lights rimane seduto in poltrona come se niente fosse, intento a disquisire sul valore simbolico della bottiglia lanciata da Sylvia Rivera contro un poliziotto il 28 giugno del 1969.

Si distinguono dei rumori soffocati. Qualcuno potrebbe essere rimasto prigioniero dietro quel muro. 

«Per una sveltina non bastava chiudersi a chiave?» commenta un ragazzo in vena di battutacce.  

I due proprietari chiedono alla folla degli avventori di diradarsi e di fare silenzio. Aderiscono con il corpo al muro e tendono l’orecchio, increduli che nel loro locale si sia potuto materializzare un prodigio tanto sinistro.

Non fanno in tempo a smarrirsi nelle loro congetture quando due colpi, battuti a breve distanza sul muro, confermano che, oltre quella fila di mattoni, si nasconde davvero qualcuno. 

 

CONTINUA...

 

Aspettiamo i vostri suggerimenti per il prosieguo del romanzo!

 

 

6 commenti:

  1. Ecco lo spunto di Alessandro:
    Dietro il muro nei bagni del bar abbiamo un personaggio dietro ad una bancarella di un mercato, che in realtà è un agente segreto...

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  2. Ecco gli spunti di Mauro Biagini:
    dietro il muro cresciuto nel bagno potrebbe essere rimasta prigioniera la cornacchia Rafe' e Ray Lights potrebbe essere un membro della Congrega della Teppa.

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  3. Ecco lo spunto di Alessandro:
    è la turista asiatica incontrata per strada da Ray Lights a trovarsi dietro il muro nel bagno del Mono.

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  4. Ecco lo spunto di Massimo:
    Dietro il muro c'è una galleria d'arte e il bagno è diventato un’installazione

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  5. Ecco gli spunti di Mirella
    I muri "solidi" indistruttibili rappresentano i grandi problemi nella testa della gente... non puoi sfondarli, ma puoi provare a girarci intorno per passare comunque oltre!
    A proposito di polverine varie: e qui appare Pollon... sembra talco ma non è...

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  6. Ecco lo spunto di Gio:
    Ormai i muri sono ovunque. È qualcosa di straordinario, un sogno che si avvera, non più l'allucinazione di una serata sbagliata, e nemmeno l'incubo di chi vorrebbe che nel mondo non ci fossero separazioni né confini. Le mille luci della metropoli non bastano a combattere il buio che avanza. La notte porterà scompiglio.

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