sabato 18 novembre 2017

StraStorie – Gialla è la città. Capitolo 3. "Elementare, Jake"

Tutti pronti per la terza puntata di StraStorie – Gialla è la città Edition per BookCity Milano? Eccola! Il racconto giallo di Besola/Ferrari/Gallone - R/A/F volge al termine... Aspettiamo i vostri suggerimenti per il finale entro domani alle ore 13!

StraStorie – Gialla è la citta. Capitolo 3. Elementare, Jake
di Riccardo Besola, Andrea B. Ferrari e Francesco Gallone


Jake e Scolo erano due ganzi e sapevano che se la notte cala così velocemente, inesorabile come una mannaia, o si tratta di uno di quei fenomeni naturali in cui il Sole viene oscurato dalla Luna, oppure è la Grande Nutria che con la sua falce è venuta a mietere proprio il tuo stelo. Restarono in apnea per un tempo che gli sembrò lunghissimo, aspettando di vedere finalmente in faccia la Grande Nutria. Quando ripresero a respirare per non soffocare, capirono che non era ancora la loro ora. Ma, visto che non era in corso un’eclissi di sole, che cosa stava succedendo?
“Sniff-sniff” fece Scolo.
“ Sniff che cosa? Fatti venire un’idea. Cosa stai annusando?”
“Silenzio, Jake. Non senti questo odore?”
“Sì, a ben fiutare mi pare che ricordi il profumo tutto particolare di Gennaro, ma con questo buio non riesco a vedere se è nei paraggi.”
“Jake, la strizza ti ha fatto naufragare il cervello! Questa è la puzza di Gennaro, buon’anima!”
“Come buon’anima?”
“Jake, siamo dentro un sacco di juta. Ci hanno rapiti e dalla puzza di cui è impregnato devo dedurre che chi ha preso noi ha preso anche Gennaro e tutte le altre nostre sorelle.”
“Santa Nutria, Scolo. Avevi ragione. Quando una nutria ficcanaso incontra una risposta permalosa, la nutria ficcanaso è una nutria morta.”
“Elementare, Jake.”


Guendalina Ravazzoni, La Grande Nutria


Antonio e Carmelo risalirono i quattro gradini di pietra che avevano cementato sull’argine sinistro della Martesana ormai dieci anni prima, quando erano andati in pensione dopo trentacinque anni di cantiere e si erano messi in società per tirare su un bellissimo orto urbano.
Si guardarono intorno di soppiatto, come due bracconieri, e sparirono sotto la tettoia di ondulit verde che riparava i concimi e i bidoni di acqua piovana.
Il sacco di juta, ancora sgocciolante e tagliuzzato dai denti di quei toponi maledetti, era appeso insieme agli altri ad asciugarsi al vento, perché il sole del primo pomeriggio autunnale era mezzo stecchito e sembrava un lume da cimitero.
Nella gabbia, ricavata in un vecchio mobile da ufficio e infrattata in fondo al deposito, le due nutrie che Antonio si ostinava a chiamare zoccole, che quelle gli ricordavano, sembravano confabulare fra di loro.
“Carme’, vedi come stanno ragionando le due zoccolone.”
“Si stanno dicendo l’eterno riposo a vicenda.”
“E però pure loro se la vanno sempre cercando, eccheccazzo! Uno non fa in tempo a piantarsi ‘n’anticchia di qualche cosa che subito queste vengono a scavare, a scassare gli argini e a mangiarsi i bulbi.”
“Ma è il Comune che ci deve pensare, però. Ca’ noi non siamo mica i giustizieri della notte!”


Chiusi nella gabbia, Jake e Scolo si erano dati degli imbecilli a vicenda e stavano cercando di capire come fare a evadere da quella prigione arrugginita che, inequivocabilmente, aveva ospitato anche le loro sorelle morte sul fondo della Martesana, giù in via Melchiorre Gioia.
Jake aveva il cuoricino pieno di nostalgia per Luca, il suo umano che senza di lui non sapeva nemmeno attraversare la strada. Incredibile, non avrebbe mai detto che gli sarebbe mancato così tanto.
“Santa Nutria, Scolo, come abbiamo fatto a non pensare agli ortisti della Martesana! Loro sono gli unici predatori che sono rimasti in città e da sempre ce l’hanno giurata.”
Scolo guardò golosamente una lattina di birra Paulaner, che si vendeva in un discount da quelle parti. Era la sua preferita. Poi mosse gli occhiettini neri nella direzione opposta e restò quasi abbagliato da quanto fossero belli i fiori in quell’orto terrazzato ai bordi del naviglio. Se lo ricordava. Ci era passato qualche mese prima e aveva fatto un bel traforo proprio sotto il montante di ferro della tettoia verde. Era estate e nessuno lo aveva disturbato.
“Jake, ho un piano. Se riusciamo a spostare questa gabbia contro quel palo lì” e indicò il montante “ci sono buone probabilità che tutto crolli e che la gabbia si apra.”
Jake, con il viso di Luca stampato in mente, non se lo fece ripetere due volte e iniziò a sbattere freneticamente la gabbia, avanti e indietro. Perché anche le nutrie sanno essere romantiche. 


“Minchia, minchia, ma c’ha la raggia quella chiù nica? Vedi come si sta accanendo a capate contro la gabbia? Vuoi che ha capito che quello ci farà fare la fine delle altre?”
“Ma figurati! I surici non sono intelligenti!”
“Mah, a mia però me pare una minchiata quella che abbiamo fatto noi.”
“Vabbè, Carme’, pure ammé non mi andava di scannarle, ma quando quello se ne è arrivato qui, bello bello sulla sua bicicletta fiammante, e dalla ciclabile ci ha chiesto se per venti euro a nutria ci prendevamo lo scomodo di pesargliene il più possibile, non mi sono fatto i problemi.”
“Sì, ma chi cazzo se lo immagginava che quello, poi, faciva tutta quella carnazzeria?”
“Vabbuo’, ma tu sei sentimentale.”
“No, io sono ’sperto! Ho letto che ci stanno i reati ambientali e pure quelli per la crudeltà sopra agli armali. E noi, picca e nenti, complici siamo.”
“Carme’, allora facimm’ accussì: queste due zoccole qua sono le ultime…”
“ E chi glielo spiega a Manomozza?”
“Ci penso io. Stasera, quando si fa scuro e gli vado a portare ’ste bestie alla fabbrica abbandonata giù, dopo la chiusa del Lambro, ci dico che sono le ultime. Piglio il grano e me ne torno.”
“Chissà che faccia farà, quel cornuto?”
“Niente. Sai quanti ne trova di strunz come a noi? E adesso andiamo che devo portare mia suocera dal dottore. Ci vediamo stasera al bar della Pina.”


Jake la nutria era esausto. La testa gli sanguinava e il liquido caldo gli imbrattava occhi e pelo.
“Fermati, Jake.”
“Che c’è, Scolo?”
“Hai sentito quello che hanno detto?”
“No, ero impegnato a scassinare la gabbia a testate.”
“Hanno parlato di uno che chiamano Manomozza. Hai capito?”
“Manomozza? Vuoi vedere che è lui il cervello?”
“Sì, cara la mia nutria! È lui e sta in una fabbrica abbandonata giù dopo la chiusa del Lambro. Non è molto lontano da qui.”
“Sì, ma se non ce ne andiamo alla svelta quelli ci porteranno da lui e non avremo più la possibilità di salvare la pelliccia.”
Jake e Scolo ripresero a sbatacchiare e a mordere la gabbia per rimuovere il chiavistello, ma più il tempo passava e le ombre sul naviglio si allungavano, più capivano che tutto era inutile.
I corridori, i passanti e le signore che spingevano le carrozzine degli umani più anziani non si accorgevano del trambusto che le due nutrie stavano facendo oppure, semplicemente, non erano affari loro e tiravano dritto.
Il frullo d’ali arrivò impetuoso e fece gelare la pelliccia dietro la collottola alle due nutrie.
“Cra-cra. Vi faranno fare una brutta fine, se non ve ne andate.”
La cornacchia era in vena di scherzi.
“Già, ma abbiamo perso le chiavi nel naviglio” disse Scolo. Odiava quegli uccellacci del malaugurio che gli fregavano continuamente le lattine e le bottiglie di birra.
“Falla parlare, Scolo” intervenne Jake, che invece invidiava alle cornacchie la possibilità di volare e di percorrere lunghe distanze.
“Cra, stanno morendo anche un sacco di noi, giù al parco della Martesana. Proprio dietro al tempio che gli umani vi hanno dedicato.”
“Che tempio?” chiese Scolo.
“Che ne so, cra-cra, ci vanno nel fine settimana a fare dei riti religiosi con le loro bottiglie e le sigarette dolci, e sopra l’ingresso c’è un disegno a vostra immagine e somiglianza.”
Jake non disse niente, né spiegò la funzione che hanno i loghi per quelli che si chiamano abitanti di NoLo, ma cercò di spingere la cornacchia a proseguire.
“Quindi secondo te si tratta della stessa persona?”
“Sì. Cra-cra, gli umani sono strani. C’è chi ci porta il formaggio e il pane e ci fa vedere ai suoi cuccioli e c’è chi ci odia a morte e ci avvelena o ci spara.”
“Dobbiamo uscire. Sappiamo dove si nasconde quell’uomo. L’uomo con una mano sola, che ha perso quella finta che era in mezzo ai cadaveri delle nostre sorelle.”
“Ci penso io. Cra-cra. Dopotutto mia cugina era una gazza ladra e passavo spesso l’estate in sua compagnia prima che trovasse marito.”
La cornacchia inserì il suo becco nero e coriaceo nel chiavistello e lo tirò con tutta forza verso l’alto. Un meccanismo scattò e la gabbia si aprì.
“Grazie” disse Jake. “Ci pensiamo noi, adesso!”
“Quando tutto questo sarà finito ti offrirò una birra” si congedò Scolo, sgusciando nella Martesana, non prima però di aver fatto crollare la tettoia di ondulit verde.

FINE TERZA PUNTATA
***


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StraStorie – Gialla è la città Edition per BookCity Milano
17-18-19 novembre 2017
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Con Riccardo Besola, Andrea B. Ferrari e Francesco Gallone
In collaborazione con Ladra di Libri - Covo della Ladra
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Contributo video di Carmen Pellegrinelli
Musica di Alessandro Arbuzzi
Dal vivo allo Spazio Ligera, via Padova 133 Milano
e sul web: www.strastorie.it, facebook.com/strastorie

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3 commenti:

  1. Fabiana ieri in tarda serata ci ha mandato questo indizio via mail: negli anni 70 andava di moda la pelliccia "povera" di castorino... ovvero di nutria! chissà che non ci sia sotto alla strage delle nutrie una "Crudelia" dai gusti discutibili;-)

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  2. Laura, invece, rifacendosi a un suggerimento per lo sviluppo della seconda puntata, ha postato questo su FB: La regina della moda... ma allora esiste davvero! Jack e Scolo avevano sempre sentito raccontare, dai loro nonni e dagli anziani del naviglio, la storia di questa leggendaria nutria, o meglio castorina, come amava definirsi, che nei lontani anni 90 aveva guidato una sanguinosa ribellione nelle concerie della bassa bergamasca. Grazie al suo gesto coraggioso migliaia di nutrie erano fuggite dalle gabbie, causando ingenti perdite al settore manifatturiero della pelliccia di castorino, che da quel momento aveva iniziato inesorabilmente a declinare.
    Ma come poteva essere ancora viva? In anni-nutria* avrebbe dovuto avere più di trecento anni!

    *un anno-nutria corrisponde a 14 anni umani

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  3. Manomozza aspettava nella fabbrica abbandonata oltre il Lambro. L'odore del fiume – chimico, irreale, come di un bucato in cui si è esagerato con l'ammorbidente – gli impregnava le narici. Quei due disgraziati erano in ritardo, ma a lui servivano ancora nutrie per completare l'opera. Manomozza abbassò gli occhi sul moncherino. Ce l'aveva da moltissimi anni, eppure il disgusto e l'orrore non erano cambiati. E tutto per colpa di una nutria. Da bambino, vedendone una che stava per finire sotto una falciatrice, si era buttato per salvarla... La piccola nutria era corsa via senza un graffio, ma le lame della falciatrice si erano prese per sempre la sua mano. ZEN

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