domenica 25 giugno 2017

“Bacchetti gioca?” – 3. “Parlami d’amore Mariù” di Gino Cervi




“Perché mi hai fatto cenno di fermarci qui?” chiede il maresciallo a Bacchetti.
“Perché voglio portarti a vedere una cosa” risponde il Toni, dando del tu al commissario come se fosse un vecchio amico.
Imboccano il viottolino bordeggiato da cipressi che porta all'ingresso del cimitero.
Bacchetti cammina deciso, un po' curvo di spalle. Il maresciallo lo segue. Entrano sotto un voltone a cappella, con una cupoletta a scaglie di tanti colori, di quelle che sembrano imitare i portali dei grandi cimiteri monumentali. Dentro però pare un cortile di campagna. Sulla destra, allineate, una decina di cappelle da signori, in fondo una piccola chiesetta; a sinistra la distesa delle tombe, non più di un centinaio.
Bacchetti prende sicuro per di lì.
Si ferma di fronte a una tomba un po' più grande, e che a differenza della altre non è di pietra bianca e grezza, ma di un marmo nero e lucido. Intorno, ben tenuto, un bordo di ghiaietto chiaro; sulla destra un vaso di iris viola. Sulla lastra nera verticale, un nome inciso a lettere d'oro: Famiglia Comuzzi. Più in basso, a destra, una fotografia, un nome e due date. La fotografia ritrae un uomo di una trentina d'anni: ha lo sguardo duro di chi è abituato a comandare e a farsi ubbidire, gli occhi che sembrano ancora adesso chiedere conto di qualcosa. Comuzzi Antonio è il nome e 1914-1945 le due date.


Bacchetti senza parlare indica la foto.
Il maresciallo Jovine si asciuga la fronte.
Un tuono più vicino fa volare via i due colombi che tubano in cima a una croce di una tomba vicina.
“Era il marzo del '45” inizia a raccontare Bacchetti. “Comandavo una brigata partigiana. Mi chiamavano la Primula rossa, anche se quello che tenevo infilato nel bavero era un garofano. Me lo portarono davanti, il Comuzzi. Erano andati a prenderlo di notte, a casa, qui a Pradamano. Collaborava coi tedeschi e i repubblichini. Girava con una sua banda per i cascinali e diceva ai contadini che se avessero aiutato i partigiani dando loro cibo e ospitalità sarebbe tornato a incendiargli la cascina. E qualche volta l'aveva anche fatto. Comuzzi mi guardava con aria di sfida. Proprio la stessa di quella foto lì... In tutti questi anni quante volte sono tornato a vederla!”.


Lo schianto secco di un fulmine, dietro ai cipressi. Poi i primi goccioloni. Non fanno in tempo a ripararsi nella chiesetta che comincia a piovere a secchiate.
“E che hai fatto quella notte, Bacchetti?” chiede il maresciallo, asciugandosi dalla pioggia più copiosa del sudore.
“Ho fatto quel che mi toccava fare. Portarlo davanti a un tribunale partigiano e giudicarlo. Anche se la sentenza era già scritta. Quel giorno però i nazisti avevano cominciato un rastrellamento in forze. Il nostro comando era in montagna e ci trovammo la strada sbarrata. Non potevamo portarci dietro il Comuzzi. Ai Casali di Porpetto decidemmo che era meglio liberarcene subito. Due colpi. Scavammo una fossa lì.”


Il maresciallo Jovine resta in silenzio, poi si passa ancora una volta il fazzoletto sul volto. Lo scroscio è quasi finito. Guarda fuori, alza gli occhi verso le nuvole nere che corrono via, verso est.
“Vieni, ti faccio vedere una cosa io, adesso” e cammina verso un altro angolo di cimitero. Bacchetti lo segue, più incerto questa volta.
La piccola tomba fa fatica a contenere tutte quei nomi, tanti nomi, quattro, cinque, sei, e neanche una foto. Nomi diversi, ma stesso cognome, Colussi, e una data, la seconda, sempre la stessa: 1944.
“Tu non lo potevi sapere, quando mi hai chiesto di fermarti qui a Pradamano” dice il maresciallo. “A Pradamano ho conosciuto la mia Mariù. Ci venivo a ballare. La sua famiglia era di qui. Contadini. Non aveva ancora otto anni quando è successo. Estate del '44. Arrivarono alla fine del pomeriggio. Vestiti di nero e diedero fuoco. La casa, la stalla, il fienile. Morirono tutti: il padre, la madre, la nonna e i tre fratelli, tutti più piccoli. No, lei no. Era andata nell'orto a raccogliere l'insalata. Si era fermata un po' di più a giocare con le lucertole sotto il gelso. Sentì le urla. Poi gli spari. Si nascose sotto le frasche. Non la videro, ma lei vide tutto. Il fuoco, il fumo, le fiamme...”.


Bacchetti ascolta, fermo, inchiodato. La pioggia ha rinfrescato l'aria, ma questa volta è lui a sudare. Passano pochi minuti che sembrano anni. Poi arriva la tosse. Un colpo, due colpi. La solita raffica che fatica ad arrestare. Il maresciallo lo deve prende sottobraccio per portarlo via.
Fanno pochi passi. Si fermano davanti a una tomba poco più in là, una tomba nuova, scavata da poco, forse qualche settimana. Non c'è ancora il nome, solo una piccola foto a colori protetta dal cellophane: una donna bionda e ancora giovane che sorride.
“E questa è la mia Mariù” dice il maresciallo Jovine Pasquale.


***
Questa è la terza puntata del racconto di Gino Cervi su Antonio Bacchetti a StraStorie/"Bacchetti gioca?" a Da vicino nessuno è normale, che raccoglie e reinventa alcuni spunti ricevuti dai lettori. 


Qui trovate l’incipit: http://www.strastorie.it/2017/06/bacchetti-gioca-1-lincipit-non-ho-piu.html
E qui la seconda puntata: http://www.strastorie.it/2017/06/bacchetti-gioca-2-le-primule-di-maggio.html


LA STORIA SI AVVIA ALLA CONCLUSIONE... ASPETTIAMO I VOSTRI SUGGERIMENTI PER IL FINALE QUI E SU FACEBOOK.COM/STRASTORIE!

StraStorie. Interagisci con l’autore mentre scrive e contribuisci al processo creativo
“Bacchetti gioca?” Vita vera e immaginaria di un calciatore fuori dalle regole
18, 20, 25, 28 giugno, ore 20, a Da vicino nessuno è normale e sul web

Un progetto di Valeria Ravera
Con Gino Cervi, Oliviero Ponte Di Pino e ospiti a sorpresa
Musiche di Alessandro Arbuzzi
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Diretta straming a cura della Ladra di Libri
Supporto tecnico Giorgio Paolo Albani

 
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#StraStorie #Bacchettigioca #dvnnm17 #davicino21 #Olivieropdpgo

4 commenti:

  1. Ecco lo spunto postato da Angelo e Silvia nei commenti al post "Road to Nowhere":

    il maresciallo Pasquale, adesso ha la sua pistola in mano, e senza guardare Bacchetti dice: Sapessi quanto mi infastidiva la sua ossessione per l'ordine, la pulizia, ma specialmente i suoi dannati sensi di colpa per essere sopravvissuta. una vita intera mi ha tormentato. io i primi anni ho provato a convincerla che non ci si può sentire in colpa per una roba simile. ma adesso che lei è lì sotto a sentirmi in colpa per essere ancora vivo sono io. Capisci come è bizzarra la vita? Ora tutto torna, ho di fronte a me chi ha giustiziato l'assassino della sua famiglia. A sangue freddo. come quello che hai ammazzato oggi, nello stesso modo: a sangue freddo. non è da tutti saper premere il grilletto. tu lo sai fare.
    Su quest'ultima parola il maresciallo Jovine mette la pistola nella mano del Bacchetti, che la impugna con naturalezza. Adesso lo guarda dritto negli occhi, e senza cambiare tono gli dice: Premi quel grilletto e chiudiamo il cerchio.
    Silvia e Angelo

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  2. Ecco lo spunto (che ha anche un titolo: "Bacchetti, gioca!!!") inviato via mail da Marisstella90:

    “E questa è la mia Mariù” dice il maresciallo Jovine Pasquale.
    “Bella, vero? L'hanno uccisa un mese fa per errore, mentre comprava della maglieria dal Lorenzutti. A lui volevano ammazzare; non hai letto i giornali, Bacchetti?” chiede Jovine, mentre toglie dell'acqua sporca dalle pieghe del collophane appiccicato alla foto.
    “No maresciallo, ero via per il campionato con alcuni dei miei fioli”, risponde “O Cammello” con aria attonita.
    “Sospettiamo che il mandante sia proprio uno dei giovani giocatori che il Lorenzutti ha scaricato dopo averci speculato soldi a palate!”, bofonchia il maresciallo con lo sguardo velato. Bacchetti non riesce più a dire una parola.
    La ruota della vita gira. Le cose non girano sempre per il verso giusto. Che accada la cosa giusta, al momento giusto, nel posto giusto: non succede quasi mai. Si può solo provare a fare in modo che accada quando arriva l'occasione giusta.
    Jovine guarda fisso l'indicatore del gasolio: è pieno come la gobba di un cammello che sta per avventurarsi nel deserto.
    Nel cimitero non gira niente, non un anima e neppure il fogliame rinsecchito che aspetta di diventare terra.
    Jovine pensa che il confine è a tiro di un pieno. E anche la caserma è vicina: a piedi saranno 2 orette al massimo.
    Con un gesto secco della testa, il Maresciallo indica al calciatore la Giulietta che sembra sorridere.

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  3. Bacchetti continua a restare in silenzio, ma nella sua testa c'è un temporale di grida che si sovrappongono: "Passa!"... "Basta, finiamolo!"... "No Toni, no far cussì!"... "Gooool!"...
    Poi il maresciallo Jovine ricomincia a parlare riportandolo alla realtà. "Ecco, ora sai perché ti ho portato via con me. Non è solo nostalgia d'O Cammello e dei miei giorni di ragazzo a Napoli. È il destino che ti ha fatto arrivare da me oggi. È un segno. È la giustizia. A volte fa giri strani, però prima o poi arriva."

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